Lungo una scala elicoidale dai colori tenui scende una casalinga che indossa un vestito anni Cinquanta. Urla un nome: Lady. La donna cerca disperatamente la sua interlocutrice e mentre si accinge a esplorare la stanza chiacchiera incessantemente, dando l’impressione di rivolgersi ad una persona; Lady è invece un cane ed è anche impagliato. C’è dunque ben poco di cui parlare con una bestia senza vita. Così si apre la prima sequenza di Favola, film di Sebastiano Mauri, che sorprende lo spettatore fin dal primo istante.
La protagonista di questa novella moderna è Fairytale (personaggio femminile interpretato da Filippo Timi): una donna che vive negli anni Cinquanta, sottomessa da un lato ai principi imposti da una società maschilista – che nega al sesso femminile qualsiasi tipo di libertà – e, dall’altro, bisognosa di un amore che può essere vissuto solo attraverso un’emancipazione, che la porterà finalmente a trovare se stessa.
Il film nasce da uno spettacolo teatrale del 2011, ideato e realizzato da Filippo Timi. L’elemento che cattura subito l’attenzione è l’ambientazione: la vita della protagonista si svolge unicamente in casa, come si confà a una perfetta casalinga; all’esterno, attraverso le finestre, scorgiamo un panorama disegnato, volutamente irreale. Tutti gli accadimenti che si dipanano sono il frutto di una fantasia, di una favola che un uomo ha creato nella sua testa per liberarsi della componente maschile che abita in lui. Dunque l’America degli anni Cinquanta è in realtà la Hollywood di quegli anni, perché il cinema l’unica realtà che l’alter-ego di Fairytale conosce ed ha potuto vedere direttamente.
I costumi, le musiche e le scenografie ci riportano in un cinema in cui lo spettatore utilizzava la propria fantasia per creare un immaginario Paese lontano e apparentemente irraggiungibile. Lucia Mascino, che nel film interpreta la co-protagonista Emerald, ha infatti dichiarato in conferenza stampa che il suo personaggio doveva chiaramente richiamare Kim Novak in Vertigo, con il tailleur grigio e un’acconciatura perfetta abbinata a una chioma eccessivamente bionda.
I protagonisti di Favola si muovono in un ambiente fatto di luci e colori che abbracciano i loro stati d’animo; tutta la narrazione è caratterizzata da una costruzione scenica dalle sfumature favolistiche: lo spettatore è consapevole in ogni momento che nulla può essere reale.
“Le donne erano costrette ad innamorarsi della lavatrice”, con questa frase ironica Filippo Timi ha spiegato perché ha deciso di servirsi dell’immaginario degli anni Cinquanta. All’epoca l’emancipazione rappresentava un lontano miraggio, e lo scopo della vita di tutte le Fairytale che popolavano quel mondo era soddisfare il proprio uomo, accudirlo e donargli tutto ciò di cui aveva bisogno. Non vi era spazio per la personalità, la donna viveva un annullamento del proprio io, sopprimendo il desiderio di cambiare la propria condizione.
L’amore è il sentimento che spinge la protagonista a uscire allo scoperto, a mostrare i suoi desideri più inconsci e viverli profondamente. “La vita è una farsa”, così la madre della protagonista (interpretata da Piera Degli Esposti) risponde alla figlia che difende i suoi sentimenti per Emerald.
L’esistenza tormentata di Fairytale è sempre stata legata alla menzogna, il mondo che il suo alter-ego Stanislao si è costruito gli ha permesso di schermare i pregiudizi, di erigere un muro dietro il quale nascondersi, in attesa di essere salvo.
Il film dunque, con ironia e spregiudicatezza, inneggia alla libertà. Una favola, che come tutte le storie della buonanotte, ci dona un insegnamento, senza però pretendere di assolvere ad una funzione pedagogica. La finzione e la realtà si uniscono in un abbraccio consolatorio e l’unica necessità che si fa strada è quella di mostrare la propria personalità, qualunque essa sia, anche quella di una casalinga americana degli anni Cinquanta