È uscito in sala questa settimana l’ultimo film di Sameh Zoabi, Tutti pazzi a Tel Aviv (Tel Aviv on Fire), acclamato dalla stampa e lungamente applaudito alla 75 Mostra del Cinema di Venezia e il cui protagonista, Kais Nashif (Salam), è anche stato premiato come miglior attore nella sezione “Orizzonti”.
Tra checkpoint israeliani e studi televisivi di Ramallah si snoda una brillante commedia dal sapore cinico e ironico. Salam, un nullafacente raccomandato, è da poco arruolato nella produzione di una serie televisiva palestinese di grande richiamo, Tel Aviv brucia. Durante il film lo seguiamo nel percorso che lo porterà a diventare il dialoghista ebraico della serie, costretto a districarsi tra il politicamente corretto e le aspettative divergenti dei popoli telespettatori.
Non è solo Tel Aviv a bruciare: il ritmo della pellicola, infatti, è scandito da battute che giocano con ardite iperboli su luoghi comuni e su scottanti stilettate politiche. Se dire a una donna “sei una bomba” dalle nostre parti è innocuo, la tensione nel territorio cisgiordano ha costretto a una sensibilità prudente i suoi abitanti, sempre costretti a ponderare le parole per non urtare il nazionalismo di uno o l’orgoglio di un altro. Tuttavia, lo scenario politico della zona non è che lo sfondo sociale delle peripezie di Salam.
Tutti pazzi a Tel Aviv è una commedia delle impressioni, dove i punti di vista vengono continuamente ribaltati e sovrapposti. La serie, un film dentro il film, ha come protagonista una diva francese che veste i panni di Rachel Ashkenazi (la splendente Lubna Azabal), una spia palestinese in missione per scoprire i segreti degli israeliani durante la guerra dei sei giorni. I colpi di scena repentini a cui assistono gli spettatori, sia arabi sia ebrei, sono sintomi di un dialogo confuso e violento tra le parti. Gli spettatori vogliono un bacio, ma quando finalmente arriva gli israeliani sono delusi da un “bacio arabo”, mentre i palestinesi sono scandalizzati dal romanticismo troppo esplicito. All’inizio Salam è preso in ostaggio da un generale (Yaniv Biton) al checkpoint, ma in seguito sarà il protagonista a fargli visita per aiutarlo a scrivere i personaggi. I finanziatori della sit com vogliono una love story araba tra il mandante della missione e Rachel, ma il generale, emotivamente coinvolto nel progetto, minaccia Salam per costringerlo a scrivere un matrimonio ebraico.
Il lungometraggio è una matrioska di prospettive, in cui ogni opinione è valida ma nessuna è interamente accettata. Le due parti strattonano Salam tra posizioni politiche arcaiche e inamovibili, costringendolo a trovare una soluzione ammissibile per tutti. La soluzione, però, non arriva mai. Il finale della telenovela non è altro che l’arresto dei protagonisti e l’introduzione di nuovi personaggi, lasciando presagire un sequel dagli stessi toni incoerenti e paradossali. Nonostante ciò, il film di Zoabi è pertinente, un esempio perfetto di come ridere di una tragedia.
Tutti pazzi a Tel Aviv è ottimo meta-cinema (o meglio, televisione sul cinema), realizzato con una lucidità politica e uno humor tagliente (macchiato, purtroppo, da un doppiaggio non eccelso), appropriatamente raffrontato al miglior Woody Allen. La morale è a libera interpretazione, ma una cosa è certa: tentare la risoluzione del conflitto più lungo della storia è impossibile, soprattutto se è procrastinato e filtrato da uno schermo senza arte né parte.