In Ailleurs la nuit la presenza e l’assenza sono due facce della stessa medaglia: tra incertezze personali, incontri fugaci e legami sotterranei, le esistenze di sei personaggi riverberano l’una nell’altra. Se nell’opera di Luigi Pirandello il dramma di questa dicotomia scaturisce dalla sua rappresentazione paradossale, in Ailleurs la nuit a renderlo tangibile sono invece l’incomunicabilità e il silenzio.

Nel film scritto e diretto dalla regista canadese Marianne Métivier – in concorso nella sezione lungometraggi della 43ª edizione del Torino Film Festival – gli opposti faticano ad attrarsi. Il titolo evoca l’aspetto più recondito dell’animo umano, e “l’altrove” e “la notte” sembrano richiamare il mistero e la fragilità delle relazioni, con se stessi e con gli altri.

La tecnica registica adottata da Métivier è messa a servizio della storia e ne chiarisce il dispiegarsi. La macchina da presa indaga situazioni ed episodi che si intrecciano tra loro, grazie al sapiente
gioco di messa in quadro che allinea le esperienze emotive di ciascuno dei personaggi, mentre i toni freddi della fotografia evidenziano il senso di alienazione. Lo sguardo della regista non vuole essere
voyeuristico, ma cerca di avvicinarsi cautamente, permettendo un’identificazione discreta con delle figure che, nonostante i drammi personali, finiscono per rispecchiarsi tra loro in un comune sentire.
E quella distanza che sembrava incolmabile – accentuata dalle riprese in campo lungo e stemperata da piccoli gesti – diviene sempre più accessibile grazie al contatto stretto con lo spazio naturale e
urbano.

Ailleurs la nuit è un ritratto intimo che pone al centro la fragilità del sentirsi sradicati e intrappolati
in una vita che ci sfugge dalle dita.

Alessandra Sottini.

Articolo pubblicato su “la Repubblica Torino” il 22 novembre 2025.