“Io sono il monolito. Sono un blocco di fredda roccia nera eretto in mezzo al deserto. Noi siamo un bosco di eucalipto. Chi ci guarda da lontano ci vede uno accanto all’altra, ma se il nostro osservatore si avvicina, si accorgerà che siamo più distanti di quanto crede”. Così termina il flusso di coscienza del bovino di Tião alla fine di un viaggio surreale colmo di interrogativi irrisolti, ai quali, forse, non c’è risposta.
Una mucca che rumina la sua fresca erbetta di campo in un ristorante di classe. Che pascola sul tapis roulant di una palestra. Che tiene una sigaretta accesa tra la fessura di uno dei suoi zoccoli. Un animale che compie delle azioni da essere umano appartiene, di solito, a un contesto leggero e spiritoso. Ma se questo animale cominciasse a riflettere sulla propria esistenza e si scoprisse insoddisfatto di come vive i suoi giorni? Il contesto si farebbe più pesante e straniante.
Animal político è buffo e irrazionale, grottesco e inquietante. L’odissea nel deserto della mucca è l’essenza della fuggevolezza delle certezze dell’uomo che si adegua alle opinioni e ai comportamenti socialmente prevalenti e che, perciò, si sente privato della propria personalità. Eppure la società ha un ruolo fondamentale nell’affermazione dell’individuo. Allontanarsi dalla abitudinaria e piatta adesione ai gusti della maggioranza peggiora la sensazione di smarrimento e spinge l’uomo sempre più verso il fondo, riportandolo inevitabilmente al punto di partenza, che è anche il punto di arrivo.
Ma perché una mucca? Questo animale si incanta, fissa l’orizzonte e rumina in continuazione, come se stesse meditando sulla propria condizione. Per questo è il candidato migliore per intraprendere il viaggio alla ricerca di una risposta al mistero della vita.
Di fronte ad Animal político, la sala cinematografica si è divisa in tre: lo spettatore che ha riso, quello che ha corrugato la fronte, e quello ha fatto entrambe le cose. Ma tutti si sono accigliati nello stesso momento: il salto improvviso sull’isola della ragazza dai capelli rossi. A metà del pellegrinaggio laico del bovino, Tião ha inserito una storia completamente nuova, ambientata in un altro luogo. La ragazza selvaggia sembra incarnare l’indole crudele della popolazione brasiliana, celata sotto un’apparenza armoniosa e pacifica. Il regista rincara la dose di illogicità e l’enigma si infittisce. L’animale politico di Tião scuote lo spettatore dal sonno del fruitore passivo, risvegliando in lui il pensatore attivo.