Nelle aree più remote del New Mexico, segnate da siccità e incendi dolosi, sopravvivono gli ultimi cowboy, ombre di un tempo passato che si muovono in silenzio tra isolamento e solitudine. Con Land With No Rider, Tamar Lando compie un’analisi antropologica sul lento tramonto di un mito: non c’è traccia dell’eroe virile in sella; al suo posto, uomini soli, stanchi e deboli, residui di un’America che ha deciso di dimenticare il proprio passato. Sotto i loro cappelli, vestono ancora camicie di flanella e vecchi stivali di pelle e, tra sigarette e brani country, i tre protagonisti rivelano la cupa realtà celata dietro la quotidianità del Southwest, dove il tempo si è fermato, in contrasto con un paese in continuo mutamento.
Presentando il documentario in concorso alla 43ª edizione del Torino Film Festival, Lando spiega come sia nato il suo primo lungometraggio: l’idea prende forma dalla sua esperienza di fotografa nella valle del fiume Mimbres, un luogo così isolato che l’unico punto di ritrovo era un piccolo bar frequentato da cowboy. In sala, alla mia domanda su come è riuscita a conquistare la loro fiducia durante le riprese, la regista risponde che il lungo rapporto di amicizia intessuto nel tempo ha costituito un’ottima base, permettendole di raccontarci le loro vite con estrema intimità. «Tendo poi a non dare mai istruzioni o consigli [su come agire di fronte alla macchina da presa] ed ero assolutamente aperta a cogliere tutti i momenti eterei che potevano sorgere nello stare insieme».
La fotografia è uno dei punti salienti del film: i paesaggi spopolati del New Mexico non potrebbero risaltare senza la minuziosa attenzione di Lando – frutto di una lunga esperienza con l’arte fotografica – e la cura per la messa in scena. A dominare questa wilderness è però un senso lugubre di morte, che torna ciclicamente nel corso del film: la carcassa del vitello che non sopravvive allo svezzamento, la scomparsa del cane (e unico compagno) di uno dei cowboy, fino alla morte reale di due protagonisti durante e dopo le riprese. È una parabola che Lando utilizza per ricordarci la fine imminente di ciò che osserviamo: non solo il tramonto dell’epica western, ma anche l’estinzione di un habitat naturale che l’uomo stesso continua a mettere in pericolo. Il film, però, non vuole essere un manifesto ambientalista intriso di patriottismo. Punta, invece, alla malinconia e al senso di rassegnazione nei confronti di un mondo che ormai sembra essersi arreso: il medesimo che attraversa i tre protagonisti, ormai troppo vecchi per trovare un posto nel mondo d’oggi. Questo fa di Land With No Rider un dipinto toccante dell’altra America, quella meno raccontata, sospesa sull’orlo della scomparsa e restituita attraverso le ultime testimonianze.
Mirko Serra
