Qui: una parola semplice, composta solo da tre lettere.
Chi sente pronunciarle senza avere idea del film che sta andando a vedere (e non avendo letto la trama) rimane spiazzato, quasi con un punto interrogativo immaginario ben piantato in fronte.
Poi, dalle prime immagini s’incomincia a capire a quale luogo questo avverbio faccia riferimento: la Val di Susa e, anche per i meno informati, purtroppo questo territorio piemontese rimanda subito alla bollente questione TAV, o meglio NO TAV.A dir la verità, aspettavo di trovarmi a che fare con personaggi burberi e un po’ iracondi. Invece la prima protagonista che Daniele Gaglianone (il regista di La mia classe, I nostri anni e La ferita, giusto per citare alcune sue opere precedenti) fa intervenire è una signora di mezza età, una pellegrina sorridente che ogni giorno si reca a Chiomonte per motivi religiosi. Da quando sono iniziati i lavori per il treno alta velocità Torino-Lione deve andarci a piedi, dal momento che una parte del percorso è stata chiusa con recinzioni tramite uno speciale filo spinato che, come ci spiega bene la donna, viene usato addirittura nei territori israeliani.
E così inizia questa carrellata di dieci ritratti di valsusini che da un giorno all’altro si sono ritrovati circondati da cantieri, restrizioni di movimento, obbligo di mostrare i documenti ai pubblici ufficiali più volte al giorno, nonostante la loro casa si trovi di fianco a quelle recinzioni da prima che queste fossero costruite. Gaglianone non scrive in sovraimpressione i nomi dei protagonisti e, in effetti, lo spettatore non sa quasi niente di loro, se non ciò che raccontano nell’intervista.
C’è lo speaker di Radio Blackout che ricorda la “diretta” diretta durante gli attacchi antisommossa della polizia, nel corso dei quali per parlare era costretto a togliersi la maschera antigas riuscendo a malapena a respirare per via dei lacrimogeni; c’è il sindaco di Venaus che dice : «Io ero dalla parte dei miei cittadini sapendo di essere dalla parte dello Stato: di là (facendo riferimento ai poliziotti durante questi attacchi) c’era dell’altro». E c’è addirittura una vecchia ed esilarante proprietaria di un agriturismo della zona la quale ricorda di essersi incatenata per protesta ad una casa che doveva essere distrutta con un paio di manette comprate al sexy-shop che non sapeva neanche come aprire.
Sono tutte storie di gente “normale”, cittadini che hanno in comune la voglia di giustizia nei confronti di uno Stato che all’improvviso li ha coinvolti in un progetto che non solo distrugge il territorio e mette in pericolo la salute di chi vi abita (tutto ciò risulta scritto nel progetto ufficiale), ma «fa perdere la dignità umana legata alla quotidianità».
Il documentario si presenta sicuramente come “di parte” e potrebbe avere diversi oppositori, tuttavia sarebbe utile fosse mostrato sulle reti televisive nazionali, dove di solito i sostenitori NO TAV sono presentati come irrazionali e violenti terroristi, per dare una visione più concreta ed equilibrata delle motivazioni che hanno portato alla ribellione.
Si potrebbe pensare che tutto ciò riguardi solo la Val di Susa, tuttavia, come spiega Gaglianone «I racconti svelano, dietro l’urgenza dell’accadimento e dell’attualità, una dimensione che trascende le stesse cause scatenanti del conflitto. E allora “qui” non è altrove: è ovunque». E per questo dovrebbe interessare tutti.