Un “on the Road” atipico
La sperimentazione americana percorre strade conosciute. I cineasti giocano con generi pre-esistenti e li stravolgono, accartocciano, demoliscono. È il caso di questo bizzarro film del regista newyorkese Andrew T. Betzer, presentato già al Tribeca Film Festival e ora sbarcato a Torino nella sezione Onde. Girato in maniera quasi artigianale, il film racconta la fuga di due fratelli (Gabriel Croft e Hale Lytle) colpevoli dell’omicidio di una ragazza attraverso un’America disorientante e perduta, abitata da freaks, nostalgici del Reich e della guerra in Vietnam (come il bizzarro personaggio di un vecchio “fricchettone”).Il ritratto che Betzer fa del suo Paese è impietoso; Young Bodies Heal Quickly ci mostra una nazione pazza e senza bussola, proprio come i due giovani protagonisti che scorrazzano senza un motivo esistenziale. Fin qui l’idea è interessante e la fotografia sporca e molto mossa rende bene l’effetto straniante. Alla lunga questo tipo di messinscena risulta pesante e dopo circa un’ora la storia esce completamente dai binari visivi e di montaggio. Sperimentare non significa delirare e l’impressione, usciti dalla sala, è che Young Bodies Heal Quickly si perda in sé stesso e non si ritrovi più, trascinando anche lo spettatore in questo disorientamento.
Il climax finale risulta troppo lungo e dispersivo e l’inserimento di una gratuita scena di sesso esplicito (cameo di Josephine Decker che, dopo il corto Madonna mia violenta sembra prendere gusto alla sessualità esplicità) non serve a far sì che il pubblico ritrovi l’attenzione ormai sopita.
Nella ricerca di un nuovo linguaggio espressivo, forse il cinema indipendente americano dovrebbe riscoprire un po’ di narrazione, in un momento in cui la vera sperimentazione è forse proprio la narratività. “Ma questa è un’altra storia”.