Noia, alcool e sigarette riempiono le giornate di Liu Shidong, apatico protagonista di The Scope of Separation, opera prima del giovane regista cinese Yue Chen. Liu – come ci racconta lui stesso in voice over – ha ereditato una cospicua somma dal padre scomparso: ciò gli permette di non lavorare e dedicarsi al suo (presunto) divertimento. La storia prosegue a fatica con l’incontro con due ragazze, molto diverse tra loro che tentano di dedicasi agli affari: una trama insignificante, come la vita di Liu, che lascia spazio alla contemplazione e a lunghi e vacui dialoghi. Una sceneggiatura senz’altro ponderata, che mina però il coinvolgimento dello spettatore.La particolarità del film sta proprio nel trattare una condizione particolarmente negativa con estrema levità e poesia: così l’inettitudine e l’alienazione sono rappresentate all’interno di locali accoglienti sommersi in colori caldi e desaturati, una gabbia dorata in cui il giovane si rifugia per non affrontare se stesso e la vita, preferendo passare il tempo tra il mahjong e il biliardo, tra un bicchiere e una sigaretta. Si respira un’atmosfera rarefatta, quasi di sogno, sottolineata da una cullante colonna sonora che alterna musica classica e jazz.
La città che fa da sfondo, esplorata principalmente di notte, è un luogo silenzioso e sospeso, che perfettamente si sposa con il vuoto interiore del protagonista, anche attraverso la dominanza di colori freddi. Ma è anche una città romantica, malinconica, che non cede mai il passo al pessimismo e all’autocommiserazione.
Palese la riflessione, o piuttosto la critica, della nuova società cinese, scissa tra giovani nullafacenti e imprenditori senza scrupoli. Chen ci mostra uno stile di vita attraverso frammenti della quotidianità di giovani per i quali le scelte sembrano solo due: arrendersi al vuoto esistenziale e professionale o farsi ingurgitare dal mostro della cinica ambizione per ottenere successo e riconoscimento sociale. In parallelo si sviluppa un confronto implicito tra i valori della tradizione, ben rappresentata dal mahjong e dalla pipa, e i disvalori della modernità, fatta di grattacieli e club esclusivi.
L’interpretazione di Liu Shidong non è brillante ma funzionale, in quanto ben descrive l’apatia e l’inettitudine del personaggio. Non a caso l’attore ha confessato in conferenza stampa di avere non pochi tratti in comune col suo alter ego, come il nome, il background familiare e il lungo periodo di smarrimento. Recitare nell’opera d’esordio di Yue Chen ha coinciso per Liu con un profondo viaggio di crescita e trasformazione, culminato col matrimonio. La realtà ha visto un cambiamento positivo, come quello che il film pare suggerire nel suo finale aperto dai tratti lirici.