Una giovane ragazza (Angela Yuen), allergica al sole, è costretta a vivere con il padre in un villaggio di pescatori nei pressi di Hong Kong; il suo disagio fisico e psicologico è alleviato dall’incontro con un misterioso viaggiatore giapponese (Joe Odagiri). Tra i due nascerà una relazione insolita e fuori da ogni schema.
In concorso al 35° Torino Film Festival, The White Girl segna il ritorno sulla scena torinese del grande maestro australiano, naturalizzato cinese, Christopher Doyle (scorsa edizione premiato con il Gran Premio Torino); il film è co-diretto insieme alla giovane produttrice hongkonghese Jenny Suen. Come evidenziato in conferenza stampa, The White Girl nasce come cortometraggio ma, dopo un confronto con Doyle, i due hanno deciso di trasformarlo in un film.
Doyle non ha bisogno di molte presentazione, è uno dei più i più grandi direttori della fotografica viventi, celebre a livello internazionale per le sue collaborazioni con un altro mostro sacro della cinematografia asiatica: Wong Kar Wai. In The White Girl ritroviamo alcune caratteristiche tipiche di Wong Kar-wai, ad esempio l’usp della voice-over con funzione introspettiva e soprattutto un’attenzione totale allo spazio. Lo stesso Doyle in conferenza stampa ha evidenziato quanto per lui lo spazio (in rapporto con la collocazione dei personaggi) sia fondamentale in un film. Tuttavia tra i due ci sono delle differenze: se in Wong lo spazio è claustrofobico in Doyle invece è sinonimo di vita.
Tra gli aspetti più interessanti del film spicca una fotografia sontuosa; Doyle è un maestro della luce, dotato di un grande senso estetico e le sue immagini (prevalenza di campi lunghi con macchina fissa) sono dei veri e propri tableau vivant, contraddistinti da una incredibile raffinatezza.
The White Girl, oltre ad essere un film esteticamente pregevole, contiene anche una forte tematica sociale; il villaggio dove si svolge la storia è in realtà una metafora di una Hong Kong che sta scomparendo, in cui le tradizioni sono ormai un lontano ricordo: capitalismo, urbanizzazione scellerata e centrification hanno modificato l’ossatura della città. La popolazione, di conseguenza, si sente persa e priva d’identità. La produttrice e co-regista Jenny Suen ha evidenziato –sempre in conferenza stampa- che la ragazza protagonista è in realtà Hong Kong stessa: un fantasma.
Come già anticipato, The White Girl presenta anche una storia d’amore atipica, messa in scena in maniera assolutamente originale. La ragazza e lo straniero (personaggio interessantissimo che ricorda molto l’eroe del western americano classico: solitario, misterioso e senza fissa dimora) non si sfiorano mai. E’ sufficiente un campo/contro campo sotto la pioggia per sottolineare al meglio il loro amore. Una relazione romantica e senza tempo con un finale sulla carta pessimista ma in realtà necessario; la ragazza fantasma non seguirà il suo amato, perché il suo compito è quello di rimanere a Hong Kong cercando di preservare, per quanto difficile sia, quel che rimane di una cultura ricchissima di storia e tradizioni.
Infine due considerazioni sul cast; Doyle e Suen mettono insieme un ottimo cast; la protagonista è un astro nascente della televisione locale (chiamata la “dea hipster”), mentre il viaggiatore misterioso è Joe Odagiri, vera e propria star del cinema giapponese (ha collaborato con maestri come Kiyoshi Kurosawa, Sion Sono ed il grande Seijun Suzuki). Interessanti anche gli attori di supporto, il politico corrotto è Michael Niag, mentre uno dei ragazzi del villaggio è Tony Wu (entrambi giovanissimi, molto amati dal pubblico di casa e soprattutto già comparsi in film notevoli).
The White Girl è un film a tratti romantico, e senza tempo, le cui immagini colpiscono direttamente al cuore.