Musica e immagini: un connubio potentissimo. Forse il più potente di tutti.
La mostra Soundframes, visitabile al Museo del Cinema di Torino, fino al 7 gennaio 2019 celebra proprio le mille e una forma in cui la musica può fondersi con le immagini: dalle sonorizzazioni del cinema delle origini alle avanguardie, passando per il cinema d’autore e i grandi compositori.
Una sezione della mostra che proprio non poteva mancare è quindi quella dedicata al musical, genere per eccellenza in cui la musica si fa tessuto del film, creando intrecci e trame con la storia e con i personaggi che racconta e che fa vivere.
Il musical nasce dagli strascichi dell’operetta di fine ‘800 dalla tradizione teatrale europea e si sviluppa nel cinema quasi in contemporanea all’introduzione del sonoro. In pochi anni riesce a imporsi come uno dei generi caratterizzanti di Hollywood, capace anche di farsi portabandiera di importanti innovazioni tecnologiche come nel caso del Technicolor introdotto con Il mago di Oz [The Wizard of Oz] di Victor Fleming nel 1939.
I tre schermi di Soundframes dedicati ai musical dividono la storia del genere in tre grandi segmenti che idealmente segnano i principali periodi di sviluppo. Nel primo schermo dedicato a Le origini, apre le danze Il Principe Consorte [The Love Parade, 1929] di Ernst Lubitsch che con le sue immagini fluide colma per la prima volta la distanza tra la narrazione e l’attrazione dei numeri musicali. Tocca poi a un grande classico: Cappello a cilindro [Top Hat, 1935]. L’eleganza del musical di Mark Sandrich calza a pennello su Fred Astaire e Ginger Rogers, la coppia che più di tutte richiama alla mente anche dei più profani la leggiadria, la grazia e la forza irresistibile degli anni d’oro del musical hollywoodiano.
Segue Un giorno a New York [On the Town, 1949] di Stanley Donen e Gene Kelly, in cui le musiche di Leonard Bernstein disegnano i contorni di una giornata in licenza a New York per un gruppo di marinai. E Gene Kelly ritorna in Cantando sotto la pioggia [Singin’ in the rain, 1953]: il più iconico tra i musical per il più iconico tra gli interpreti di musical.
Il musical hollywoodiano di questi anni è saldamente ancorato ai toni da commedia, ma quando il cinema comincia a trasformarsi inevitabilmente lo fa anche il genere. Nel 1961 West Side Story racconta lo scontro tra gang nelle strade newyorchesi rielaborando ufficiosamente gli stilemi shakespeariani di Romeo e Giulietta. Vincendo ben dieci premi Oscar, West Side Story detta le nuove regole del genere. Con le sequenze tratte da Funny Girl (William Wyler, 1968) Cabaret (Bob Fosse, 1972) e The Rocky Horror Picture Show (Jim Sharman, 1975) si completa il secondo schermo intitolato Verso un “musical adulto” che raccoglie le istanze di un nuovo modello narrativo che rompe con la tradizione e si fa portavoce di una nuova visione del proprio tempo e dei cambiamenti sociali.
Continuano su questa linea anche i musical raccolti nel terzo e ultimo schermo, The New Course. A partire dagli anni ’80, il musical ritrova una rinnovata libertà espressiva fondendo insieme intrecci e storie più raffinate con personaggi sempre più interessanti e complessi. Da Un sogno lungo un giorno di Francis Ford Coppola [One from the Heart, 1982] si arriva poi alle contaminazioni del musical con l’animazione in The Nightmare Before Christmas di Tim Burton, che attinge a piene mani anche dai numeri musicali che hanno reso celebri i film d’animazione Disney.
Il percorso di Soundframes dedicato al musical si conclude con la sequenza tratta da Across the Universe (2007) di Julie Taymor, musical ispirato alle canzoni dei Beatles che fa propria la dimensione onirica e psichedelica che caratterizza buona parte dei musical dei primi anni 2000, primo fra tutti l’eccessivo Moulin Rouge di Baz Luhrmann (2001).
Idealmente a Soundframes si potrebbe aggiungere un quarto schermo con le sequenze dei musical che stanno segnando questi ultimi anni. Il genere sembra tornato in auge e se è vero che si porta dietro anche molti detrattori, sta conquistando una fetta di pubblico sempre maggiore. Lo dimostra il successo di pubblico di film come The Greatest Showman (Michael Gracey, 2017) o Les Misérables (Tom Hooper, 2012) che traspone sul grande schermo in modo quasi filologico il fortunato musical del West End londinese. O ancora, e forse più di tutti, lo dimostra l’atipico La La Land di Damien Chazelle che celebrando la grande tradizione dei musical classici la reinventa conquistando anche i più scettici.
Perché in fondo il musical è “dedicato ai folli e ai sognatori” e sembra che gli spettatori non vedano l’ora di poterlo essere ancora.
I vecchi film sono i migliori film.
Saluti,
Alex