Lui si chiama Matthias (Gabriel D’Almeida Freitas): 26 anni, promessa di un prestigioso studio legale canadese, irsuto, concreto. Lui si chiama Maxime (Xavier Dolan): 26 anni, barista, ipersensibile, una voglia rosso acceso sulla guancia destra, in procinto di lasciare il Canada per trasferirsi in Australia. I due sono amici sin dall’infanzia e nel corso degli anni hanno sviluppato un rapporto di fratellanza più di sangue che spirituale, onesto e scevro da qualsiasi imbarazzo.
Ma nel momento in cui, durante una festa organizzata poche settimane prima della partenza di Maxime, i due sono chiamati a baciarsi davanti a una macchina da presa per le riprese di un cortometraggio, ecco che le cose cambiano repentinamente e i due ragazzi non si rivolgeranno la parola per settimane, in preda a una crisi di coscienza che, nel caso di Matthias, impegnato sentimentalmente con una ragazza, raggiunge vette insormontabili. Durante la festa d’addio organizzata per Maxime però, i due riusciranno finalmente ad aprirsi e a confrontarsi sull’accaduto.
Dopo le “avventure” hollywoodiane di La mia vita con John F. Donovan e di Boy Erased (qui solo in veste di attore), Xavier Dolan torna dietro alla macchina da presa con un film che si potrebbe anche definire “anomalo” rispetto alla sua produzione precedente: poco interessato a sperimentare da un punto di vista formale, Dolan sembra in questo caso persino determinato a tralasciare la componente intimista che aveva caratterizzato le sue pellicole precedenti per concentrarsi invece su un elemento più polemico. I due protagonisti si muovono infatti in una società vacua, conformista, in cui il gergo inglese si sta rapidamente e insopportabilmente diffondendo e in cui si parla per citazioni della cultura pop. Una società repressa e repressiva, in cui Matt e Max vivono in uno stato di tensione e rigidità perenne che, anche quando riesce a trovare uno sfogo, non riesce a consumarsi del tutto.
Presentato in concorso all’ultima edizone del Festival di Cannes, Matthias e Maxime si configura dunque come un film adolescenziale, ludico, anche se non scevro da elementi di profondità, che trova la sua forza nella scrittura sarcastica di Dolan e nell’interpretazione del co-protagonista D’Almeida Freitas, che riesce persino a oscurare il regista-attore facendosi forte di una caratterizzazione del personaggio assai più approfondita di quella del ruolo interpretato da Dolan.
Che ormai l’autore canadese voglia togliersi di dosso l’etichetta di enfant prodige è un dato di fatto, ma con Matthias e Maxime ha, paradossalmente, realizzato la sua opera più “infantile”. Ma visto il ritmo con cui lavora, non pare impossibile immaginare in tempi brevi una presa di distanza ben più radicale.
Alessandro Pomati