Milano, Francoforte, Mosca, Anversa, una città calabrese. Luoghi del film scanditi da scritte rosse, caselle sulla scacchiera di una partita senza esclusione di colpi. A giocare per la vita è Fernando Piazza (Marco Bocci), che la madre non ha saputo allontanare dal mondo della malavita del padre; dall’altro lato del tavolo, la ‘ndrangheta. Ad aiutarlo, in una partita più difficile di quanto potesse immaginare, c’è solo Maia (Ksenia Rappoport), la ragazza che un tempo ha amato, ora donna del clan dei Corapi.
Toni D’Angelo omaggia Milano Calibro 9 e Fernando Di Leo con un sequel che, presentandosi come film di genere, riesce a raccontare l’attualità. La stessa Milano degli anni ‘70 dentro a un mondo cambiato dal tempo e dalla tecnologia, gli stessi personaggi immersi nei nuovi traffici della malavita organizzata.
Calibro 9 attinge all’immaginario (ri)creato negli ultimi anni da serie come Romanzo Criminale, Gomorra e 1992, plasmando una città senza tempo, in cui i festini a luci stroboscopiche si alternano a edifici industriali abbandonati, traffici online e politicanti stranieri. Ne risulta una situazione straniante, in cui la tecnologia dei giorni nostri si scontra con un’atmosfera in cui tutto, dagli ambienti al modo di parlare, dai personaggi fuori dal tempo allo stile della fotografia, riporta agli anni ‘90. Uno spazio abitato da personaggi a cui però difficilmente ci si affeziona, se non per i richiami al film originale: forse anche a causa di tutti i non detti, delle vicende in cui lo spettatore piomba senza introduzioni, di tutti i fatti che vengono intuiti senza capirne le ragioni.
Quel che resta, alla fine, è il mondo spietato della ‘ndrangheta, in cui i quarant’anni trascorsi sembrano non aver cambiato nulla: una realtà in cui nessuno è padrone del proprio destino, in cui anche i poliziotti si devono sporcare di crimine per essere giusti, in cui gli stessi delitti di un tempo vengono commessi con tecniche moderne. Un mondo in cui nulla, neppure i sentimenti o la voglia di libertà, può cancellare un tradimento.
Cristina Danini