I film dedicati alle terribili conseguenze dei disturbi da stress post-traumatico (o PTSD) costituiscono ormai un vero e proprio filone cinematografico, in cui si inserisce il primo lungometraggio di Kyle Hausmann-Stokes, My Dead Friend Zoe: una commedia nera che, volutamente, prova a mitigare un tema tanto delicato, specie per gli americani, e troppo spesso trascurato. Il regista stesso, arruolatosi poco prima dell’11 Settembre e ritiratosi nel 2008, è un ex-paracadutista dell’esercito che, oltre ad aver realizzato cortometraggi di impatto sociale e spot pubblicitari per diverse aziende, da quattordici anni si cimenta nello studio del cinema grazie al sostegno garantito dal Post-9/11 Veterans Educational Assistance Act.
Per dar voce al suo passato e alle innumerevoli storie della sua “tribù” (i veterani), il regista ha scelto il volto di Sonequa Martin-Green, come se si trattasse di una sorta di autobiografia al femminile. L’attrice interpreta Merit, una fredda e rigida protagonista che viene perseguitata dalle incessanti visioni della sua migliore amica Zoe (Natalie Morales), morta suicida dopo la loro ultima missione in Afghanistan. Presto l’ex soldatessa si troverà a fronteggiare un nonno al primo stadio di Alzheimer, Dale (Ed Harris), una madre severa ed insistente, Kris (Gloria Reuben), e un premuroso dottore a capo della terapia di gruppo, Cole (Morgan Freeman). La narrazione inizialmente lenta e per certi versi debole, con vari flashback che esplorano periodicamente il rapporto tra le due commilitone, cede il passo a un finale positivamente risolutivo, riuscendo sia nell’intento di sfatare il mito del soldato impavido e coraggioso che non deve mai parlare di come si sente, sia nel denunciare l’atteggiamento comodo e sbrigativo del “Thank you for your service”, noncurante delle conseguenze psicologiche di quelli che alla fin fine sono pur sempre esseri umani.
Hausmann-Stokes riesce a trattare i temi della solitudine e dei sensi di colpa in modo delicato e sarcastico, anche grazie ad una palette dai toni caldi e accesi e un’ironia nei dialoghi che vuole sdrammatizzare il più possibile, pur preservando la serietà della situazione e senza mai sfociare nel ridicolo. Un film che ci ricorda di vivere nel presente e non nel passato, che trattenere i nostri peggiori incubi sia una logorante spirale che ci mangia fino a consumarci, e che parlarne con qualcuno non è affatto sbagliato. Nonostante l’evidente tono patriottico autocelebrativo tipico di molte narrazioni americane, My Dead Friend Zone rimane un esempio della cura e dedizione che, specie negli ultimi anni, diverse associazioni come la Everytown for Gun Safety’s Veteran Advisory Counsel, della quale il regista è membro, stanno impiegando nell’aiutare a superare le difficoltà dei soldati veterani.
Davide Lassandro