“QUEERPANORAMA” DI JUN LI

Il nastro di Möbius è una particolare superficie con una sola faccia. Come già lo era Strade perdute di David Lynch, Queerpanorama – presentato allo scorso Festival di Berlino – è un’applicazione labirintica di questo principio matematico sull’infinitezza, in cui tutto si ripete, ma non ciclicamente, senza una netta distinzione tra il prima e il dopo, il passato e il presente, l’inizio e la fine.

Un giovane gay di Hong Kong vive la sua quotidianità attraverso due attività principali: “guardare film e scopare”. Il film ci mostra soltanto la seconda e compone una catena di rapporti occasionali iniziati su app d’incontri con uomini di diverse età e nazionalità: uno scienziato, un professore, un architetto… Di volta in volta il ragazzo si presenta al nuovo incontro assumendo, anzi, indossando il nome e il mestiere dell’uomo precedente, senza mai permetterci di dedurre qualcosa sulla sua vera identità.

Soltanto una frase da lui pronunciata – copiata da un attore – forse gli si addice: “mi piace osservare le persone e fingere di essere qualcun altro”. Come gli schermi contemporanei, la sua identità è una bacheca che cattura e restituisce informazioni, che transitano da un punto all’altro senza fermarsi da nessuna parte. Lui è una persona nel senso latino del termine: una maschera, anzi un insieme camaleontico di maschere, che compongono il panorama del titolo. Un panorama caleidoscopico di identità che si sfaldano e moltiplicano, sempre parziali e incomplete, come i profili delle app.

Eppure, il film è costruito su lunghi pianisequenza unitari e rarefatti. Il plan séquence non è più la conferma baziniana dell’ontologia del cinema come durata reale; non attesta più, come nel cinema moderno, l’insignificanza della realtà e la natura temporale del cinema (di deleuziana memoria): qui e ora, nel cinema contemporaneo, diventa un modo per fissare l’impossibilità e il superamento di quella stessa realtà. Lo sguardo unitario è solo apparente, perché nella staticità delle inquadrature ci perdiamo tra ellissi e fuoricampi, non conosciamo niente davvero, ma otteniamo solo tanti cocci assemblabili ex post da noi spettatori.

Così anche l’uso insistito del campo totale (per definizione l’inquadratura della totalità della visione appunto), ci impedisce di vedere i personaggi in viso e leggerne i tratti, ponendoci a una distanza da cui tutto è inconoscibile, nonostante la nitidezza del bianco e nero quasi neorealista per come ci restituisce gli atti sessuali e le relazioni tra i personaggi.

Ma dietro al gioco di imitazioni, nomi e personalità si insinuano le ferite della storia politica di un paese dilaniato da ogni parte, colonizzato da varie nazioni, diviso, privato della sua vera identità. Queerpanorama è un teorema geometrico di specchi e schermi (più volte si vede il gesto di aprire una finestra), simmetrie precise e riflessi, rimandi e rime incrociate, che soltanto nel pianosequenza finale fa intravedere la possibilità di avvicinarsi alla ricerca del vero sé.

Ludovico Franco

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