“AVEMMARIA” DI FORTUNATO CERLINO

In Avemmaria quel che emerge non è la storia, ma uno sguardo: quello di un uomo che, alla soglia della paternità, capisce di non poter andare avanti senza fare i conti con il bambino che è stato. Da questa intuizione nasce l’esordio alla regia di Fortunato Cerlino, presentato al 43° Torino Film Festival. L’opera intreccia con naturalezza due tempi della vita, costruendo un confronto continuo tra il Felice adulto, alter ego del regista – interpretato da Salvatore Esposito – e il Felice giovane, a cui dà il volto Mario Di Leva.

Il centro del racconto è un dialogo in cui l’uomo provoca il suo sé del passato, lo sprona, lo rimprovera; e quel sé infantile restituisce una capacità di guardare avanti che la vita ha logorato. A illuminare il percorso è la maestra Giulia, presenza affettuosa a cui il film è dedicato: è lei ad aver insegnato a Felice il sogno come unica forma di salvezza, un’eredità che oggi protegge con gratitudine e dolore.

A fare da sfondo è Pianura: più che un’ambientazione è un luogo simbolico, in cui le possibilità sono poche e la fantasia è spesso l’unica risorsa per sopravvivere. La luna, e l’impresa di Armstrong, diventano immagini di un altrove possibile. Il film alterna con delicatezza due registri: da un lato le scene dure della quotidianità, della violenza pervasiva; dall’altro i momenti in cui la mente del bambino spalanca finestre inattese. Felice sogna, inventa, anche quando tutto gli è contro, come quando il desiderio di cantare inciampa nella povertà della famiglia. La fede popolare trascende la religione e diventa forma di resistenza emotiva.

Avemmaria racconta il peso delle origini e la difficoltà di scorgere un domani quando tutto sembra già deciso, ma lascia aperto uno spiraglio: «anche chi nasce tondo può morire quadrato». E Felice ne è la prova.

Marilina Rita Monzo

Articolo pubblicato su “la Repubblica ” il 24 novembre 2025

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