I legami familiari sono tanto difficili da spezzare quanto da ricongiungere. Tuttavia, se la realtà che conosciamo non è sufficiente a colmare la distanza affettiva – causata da separazioni improvvise e inspiegate –, la realtà virtuale offre un controllo insperato nella ricerca della soluzione, trascendendo i confini dimensionali. «Reality is what you make of it» e LUZ, VR game che dà il titolo al film di Flora Lau, presentato fuori concorso alla 43ª edizione del Torino Film Festival, promette di farne esperienza.
Lo spazio fisico e virtuale tratteggiato nel film LUZ unisce le linee narrative di quattro persone, intrecciate in un duo madre-figliastra composto da Sabine e Ren (Isabelle Huppert e Sandrine Pinna) e in uno padre-figlia, rispettivamente Wei e Fa (Guo Xiao Dong e Deng En Xi). La situazione dei relativi rapporti conduce Wei, Ren e Fa a rifugiarsi in LUZ, una realtà virtuale dove inseguire un cervo leggendario e la sua scia luminosa significa fattualmente venire a patti con se stessi. Le sfide del gioco (gestite in soggettiva) diventano specchio di paure sopite e frenate e di un forte desiderio di riconciliazione, diventando così metafora di un viaggio essenzialmente rivelatore e introspettivo. Una rinascita che trova anche un’inaspettata unione in un unico MacGuffin simbolico: il dipinto La foresta del crepuscolo, adesso di proprietà del gallerista di KTV Mr. Qiu (David Chiang).
La realtà in LUZ è un’ibrida fusione di di immagini e luoghi, fisici e irreali, dove nemmeno la barriera linguistica rappresenta una difficoltà. Non è però solo lo spazio tangibile e virtuale a essere personaggio attivo del racconto, lo è anche la barriera temporale. Il tempo, predeterminato e inesorabile, non permette di cancellare quello che è stato in passato, ma solo di tentare percorsi per cercare di capire se stessi, perdonarsi e perdonare.


La connessione emotiva passa attraverso le tonalità cromatiche neon e dal forte contrasto luministico. Le sequenze sono dominate da colori primari come il rosso e il blu; la loro fusione in raggi iridescenti viola e i loro complementari, verde e arancione. Questa ruota cromatica tratteggia le personalità intime dei personaggi, in un continuo divenire trasfromativo; ne satura gli interstizi di passaggio tra le dimensioni, che si alternano senza soluzione di continuità. Infine riempie lo spazio di una Hong Kong brulicante e vivida di tecnologia e, a distanza di migliaia di chilometri, di una Parigi quieta, che si erige a effige d’arte classica.
E dopo la luminosa psichedelia ibrida di immagini post-post-contemporanee di LUZ è pacificante smaterializzarsi e tornare ai rumori familiari e alla monòtonia cromatica cittadina. Perché queste vite oggi hanno di nuovo un futuro da riscrivere nel domani.
Alessandra Sottini