“ALWAYS” DI DEMING CHEN


Con Always, in concorso nella sezione documentari alla 43ª edizione del Torino Film Festival, Deming Chen firma un’opera di rara delicatezza, un documentario che si muove in punta di piedi dentro la solitudine di un bambino dalla spiccata sensibilità.

Il regista segue per alcuni anni Gong Youbin, nato e cresciuto in un remoto villaggio montano della Cina assieme al padre disabile, i nonni e pochi animali utili al sostentamento della famiglia. La madre assente abbandonò tutti a seguito di un incidente sul lavoro che portò il marito all’amputazione di un braccio, evento che convinse la donna dell’inadeguatezza del compagno nel sostentare lei e il figlio. Su questa assenza originaria si costruisce l’universo interiore del piccolo Gong, che riesce a prendere forma attraverso la poesia. Nel frattempo, un funzionario statale addetto alle sovvenzioni raggiunge l’umile casa della famiglia Youbin per constatare il grande talento del ragazzino e l’effettivo stato di povertà della famiglia. La possibilità di ricevere un aiuto economico, che assicuri al bambino un futuro migliore e, soprattutto, dia modo all’intera famiglia di risollevarsi e andare avanti, sembra offrire un sospiro di sollievo agli adulti, mentre Gong viene appesantito dalle responsabilità.

La cinepresa, pressoché immobile, riflette il naturale scorrere del tempo mentre riprende la vita rurale del bambino. Il regista assorbe i ritmi del giovane poeta e dell’ambiente che lo circonda in tutta la sua meditativa lentezza, lasciando che le immagini altamente evocative si fondano con le poesie che appaiono impresse sullo schermo.

Intanto, il tempo scorre quasi in maniera impercettibile, Gong avanza lentamente con l’età e la poesia arretra inevitabilmente. Al suo posto, la necessità sempre più grande di aiutare il padre e il vecchio nonno a lavorare nei campi. È proprio a questo punto che il bianco e nero della pellicola lascia spazio a un realismo a colori dal sapore amaro: l’infanzia finisce, e con essa, il bisogno di scrivere.

In Always non colpisce soltanto la grande cura estetica ma anche tutta la dimensione emotiva che percorre il film. La stessa maestra che a inizio film insegna ai ragazzi come comporre una poesia suggerisce, in via definitiva, di lasciarsi trasportare dalle emozioni. Allo stesso modo, il regista suggerisce la medesima cosa allo spettatore che, inevitabilmente, rimarrà colpito dalla potenza visiva ed evocativa delle immagini.

Giada Franzoni

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *