Les Misérables di Ladj Ly condivide con Les Misérables di Victor Hugo non solo il titolo e l’ambientazione, ma anche la capacità di raccontare una condizione di desolazione e brutalità attraverso un’opera capace di trasmettere un messaggio universale. Non possiamo sapere come Hugo avrebbe rappresentato il suo tempo se avesse avuto una macchina da presa, ma quello che vediamo sullo schermo è un nuovo tentativo di raccontare la povertà, materiale e non. Ly raccoglie il lascito di un capolavoro letterario senza sfruttarlo né rinnegarlo, ma rivitalizzandolo in un film che, con un linguaggio asciutto e preciso, porta una pulsione sotterranea davanti all’obiettivo e sotto la luce dei riflettori della Croisette del Festival di Cannes, dove è stato insignito del Premio della Giuria nella scorsa edizione.
Les Misérables racconta una giornata nella banlieue parigina per lo più abitata da afro discendenti, in uno scenario dominato da criminalità e disagio sociale, in cui gli abusi da parte delle forze dell’ordine sono la routine. Sebbene il regista sia cresciuto in un quartiere come questo, sceglie di raccontare questa storia da dentro l’auto della polizia in cui tre agenti pattugliano la zona, sapendo che da un momento all’altro ogni cosa può succedere. Ladj Ly traspone sullo schermo la sua realtà, seguendo i movimenti degli attori con dinamici movimenti di camera che rivelano la presenza di un operatore reattivo ai fatti che si svolgono di fronte all’obiettivo. Lo sguardo però non diventa mai “documentario”, bensì si muove sapendo esattamente cosa andrà a riprendere e cosa lascerà fuori: non perde mai la bolla o il fuoco, ogni movimento è fluido, non ci sono sporcature date dal cambio di luce o di inquadratura. Il film rivela così di essere la sua costruzione finzionale, che enfatizza la realtà attraverso un uso poetico dell’immagine.
Il regista pensava a questo film da anni. Nel 2017 aveva già realizzato un cortometraggio omonimo, ambientato negli stessi luoghi e con gli stessi attori, che raccontava però una storia differente. In appena 15 minuti, il film presentava già le dinamiche tra i tre poliziotti protagonisti e innescava immediatamente una serie di eventi drammatici in rapida successione, alcuni dei quali tornano anche nel lungometraggio. Il fatto che i due film trattino storie diverse, mantenendo però inalterati i protagonisti e l’atmosfera palpitante data dai luoghi e dalla regia di prima linea, è un’idea molto interessante. In questo modo lo spettatore non ha l’impressione di rivedere lo stesso film, bensì di completare l’esperienza di un universo che ci sorprende ancora e ancora. Il lungometraggio naturalmente espande le situazioni e aggiunge nuovi inaspettati elementi, fondamentali per uno sviluppo drammatico articolato in un’ora e quaranta. Il regista aveva anche sviluppato nel 2018 un documentario sulle stesse tematiche, titolato À voix haute: la force de la parole, co-diretto con Etienne de Fraitas.
In Les Miserables, attraverso immagini diverse, da calcolati zoom sui volti ad ampi spazi ripresi dall’occhio di un drone, il regista ci costringe a osservare l’incalzante sequenza di azioni e reazioni che lega tra loro gli abitanti di questa realtà. Il film di Lady Li è un gesto politico, la cui forza si dispiega grazie a un uso sapiente e non prevedibile del linguaggio del cinema, che ci tiene incollati allo schermo.
Arianna Vietina
Il film è disponibile su: Mio Cinema (7€)