Anni Ottanta, il regista Gaspard Bazin vuole fare un film alla vecchia maniera, per cui sta cercando fondi e attori; si rivolge quindi al produttore Jean Almereyda, che però è ormai in declino e fa sempre più fatica a ottenere il capitale necessario a portare avanti i propri progetti.
Godard ha elaborato attraverso questo film una riflessione sul cinema classico e sulla sua grandezza, contrapposta al declino del cinema a lui contemporaneo, da imputarsi anche all’avvento della televisione. L’opera è stata realizzata su commissione per la serie televisiva Série Noir ed è stata girata su supporto elettronico; la versione restaurata, proiettata durante questa edizione del Torino Film Festival, permette quindi di notare la bassa definizione offerta dall’immagine televisiva degli anni Ottanta.
Gli studi televisivi della casa di produzione Abatros Film sono popolati da personaggi che richiamano grandi nomi del cinema, attaccati alle pareti delle stanze sono visibili poster e ritratti di importanti registi tra cui Chaplin, Stroheim e Antonioni; alla fine anche lo stesso Godard fa la sua apparizione, sottolineando ulteriormente la contrapposizione tra il grande cinema da lui stesso rappresentato e la squallida routine del lavoro svolto presso l’Albatros Film.
I provini ripetuti all’infinito danno l’impressione di trovarsi davanti a una catena di montaggio in cui tutto ritorna ciclicamente e si mostra sempre uguale a se stesso.
La televisione appare in questo film come una fredda illusione, sottolineata dal gesto di accendere l’apparecchio per ammirare un finto camino che dà solo l’impressione di emanare tepore.
Godard inserisce in modo quasi ossessivo le bande verticali colorate e, a un certo punto, interrompe il proprio film inserendo uno schermo nero con la scritta “interruzione tecnica”, come promemoria della precarietà della televisione e dei suoi prodotti.
In conclusione, questo film dalla narrazione che potrebbe essere definita a tratti meta-cinematografica può essere visto come un gesto quasi paterno da parte di Godard nei confronti dei giovani cineasti, un invito a distaccarsi dalle “cattive compagnie” rappresentate dalla televisione, che appiattisce il cinema, e a guardare invece ai grandi cineasti classici.