Uno sguardo sul degrado umano attraverso gli aspetti più perversi delle sue manifestazioni, un perturbante incubo di angoscia e miseria girato in 16mm. Nonostante la tragicità del soggetto risulta arduo definire Portraits of Andrea Palmer un film drammatico: che si guardi allo script oppure alla regia, immediatamente si ritrovano i canoni di appartenenza allo splatter e all’exploitation; i buchi di sceneggiatura sono colmati da ampie ed esplicite sequenze di sesso, violenza e autolesionismo che vanno a costituire il reale corpo del film; gli attori sono non professionisti – e si vede -, la fotografia è sciatta e la regia appare a tratti improvvisata.
La protagonista, una giovane prostituta vittima del suo ambiente e soprattutto di chi lo popola, sembra il personaggio di un film di Lars Von Trier privato di ogni introspezione psicologica ed empatia. Il suo sprofondare in tossicodipendenza e autolesionismo è scandito da rapporti sessuali – consenzienti e non – totalmente privi di passione ed erotismo, mirati a destare repulsione, talvolta causata più dagli impietosi e maldestri primissimi piani di laidi pornografi e papponi che non per i dettagli degli amplessi.
Il personaggio del cliente che paga cinquecento dollari e tenta di redimere, o almeno distrarre la protagonista, è interpretato dal celebre attore e regista pornografico William Margold. Scelta che dovrebbe essere significativa e compiacere gli amanti del genere, ma che lascia quanto meno perplessi per la forzatura e la banalità della sequenza.
In definitiva, inserendosi nel filone exploitation, il film non presenta caratteristiche che gli permettano di risaltare all’interno della categoria, e finisce per risultare un prodotto come tanti, che punta -quasi – tutto sull’effetto shock e – quasi – niente sulla qualità.