Non bisogna farsi trarre in inganno dal titolo del documentario di Maxim Pozdorovkin The Truth About Killer Robots: non ci troviamo davanti a un lavoro di science fiction in cui le macchine si ribellano e uccidono gli umani, e quella a cui assistiamo è un’invasione graduale e più subdola. Il regista utilizza il pretesto dell’indagine sulla morte delle prime vittime di intelligenze artificiali per mostrarci come la tecnologia stia evolvendo, trasformando totalmente il nostro modo di fruire di determinati beni e servizi.
Il documentario è diviso in tre macrosezioni, una per ciascuna delle uccisioni, e analizza rispettivamente il settore della produzione, il settore terziario e quello militare. Nella prima parte del film la morte di un operaio in una fabbrica Volkswagen, schiacciato da un braccio meccanico, ci permette di entrare all’interno dello stabilimento, scoprendo come la maggior parte dei ruoli un tempo assegnati ad esseri umani siano ora occupati da automi. Dove prima servivano tre persone ora è sufficiente una sola macchina, in una progressiva automazione analoga a quella avvenuta nel settore agricolo nel secolo scorso, che ridusse i lavoratori nelle campagne del 90%. Se quella manodopera riuscì a trovare una nuova occupazione nelle fabbriche, ora nessun settore riesce ad ammortizzare questo nuovo esodo, causando una disoccupazione in costante aumento. Pozdorovkin sembra qui suggerire come questa sia la vera natura killer della macchina, non una furia assassina ma una morte lenta per mancanza di risorse, arrivando ad ipotizzare un mondo in cui ogni lavoro ripetitivo viene eseguito da robot. Proprio quest’ultimo elemento fa da ponte tra la prima sezione e le successive: se è vero che nell’industria pesante possiamo vedere la maggior infiltrazione robotica, è altrettanto vero che esistono svariati lavori che possono essere ridotti a un insieme di azioni ripetitive, e quindi automatizzate. Tassisti, cuochi e persino soldati: le nuove frontiere della robotica sembrano non conoscere limiti. Nella seconda parte del documentario possiamo vedere i primi esperimenti (e la prima morte) con piloti di auto indipendenti.
Il montaggio ci mostra dapprima una situazione in cui la presenza di automi è la norma, poi una situazione in cui questa sta gradualmente espandendosi, suggerendo come i due settori potrebbero presto trovarsi ad affrontare problemi analoghi; infine ci mostra un settore molto in cui questa presenza comincia a fare la sua insidiosa comparsa. In questo modo lo spettatore non può che domandarsi cosa potrebbe accadere al settore militare se anch’esso divenisse appannaggio delle macchine. Nell’ultima parte del film ci vengono mostrati robot con puntamento automatico o capaci di piazzare ordigni esplosivi sul nemico. Strumenti utilizzati in aperto contrasto alle “tre leggi della robotica” ideate dallo scrittore Isaac Asimov e utilizzate da diversi ingegneri come modello di partenza per la creazione di intelligenze artificiali capaci di convivere con gli esseri umani. Queste sembrerebbero la chiave auspicata dal regista come via da perseguire: non una sostituzione totale dell’elemento umano, ma un utilizzo etico degli strumenti.