6 febbraio 1978 – viene ritrovato su un marciapiede di Washington D.C. il corpo di Linda Lipnack Kuehl, una giornalista che aveva dedicato gli ultimi dieci anni della sua vita alla stesura di una biografia, mai terminata, sulla leggendaria cantante jazz Billie Holiday. Nel corso della sua ricerca aveva intervistato decine di persone e svolto un’indagine dettagliata sulla vita dell’artista. Il patrimonio da lei lasciato è inestimabile: 125 nastri audio, 200 ore di interviste e un manoscritto. Billie è l’esito dell’analisi e dell’accurato utilizzo di questo materiale prima d’ora inedito: un progetto mastodontico diretto da James Erskine che, dopo aver espresso il desiderio di realizzare un documentario sulla cantante, si è trovato a capo di un’impresa come poche, iniziata con l’acquisizione del prezioso materiale da un collezionista del New Jersey.
Billie Holiday, scomparsa a soli 44 anni nel 1959, ha segnato il mondo della musica imponendosi tra le interpreti jazz e blues più influenti della Storia. Cercare di trasmettere il suo valore artistico e personale si profila come un’ardua sfida, a partire dagli ostacoli tecnici della produzione: “Non esiste praticamente nessuna immagine a colori di Billie, né alcun filmato” nota ad esempio il regista, rendendosi conto che un mondo come quello di Billie risalterebbe nel colore. Ed ecco che l’eccellente lavoro di colorizzazione di Marina Amaral rende il documentario palpabile, vicino a noi e ai mille colori della vita di Billie. Alle fotografie e ai filmati vengono abbinate le parole di chi la conosceva meglio e quelle di Billie stessa, perlopiù in musica. Linda Lipnack Kuehl aveva intervistato svariati personaggi: dagli amici d’infanzia ai colleghi più noti come Tony Bennett e Count Basie, dai magnaccia agli agenti dell’FBI, e tutti contribuiscono alla creazione di un ritratto tra i più completi e sfaccettati dell’enigmatica cantante.
Il vero tesoro di Billie risiede quindi nella componente sonora che, forse più degli altri, contribuisce al racconto: anche le interviste registrate amatorialmente nei bar rumorosi degli anni ‘70, ulteriore ostacolo tecnico, si presentano a noi come fossili riemersi alla luce e adeguatamente ripuliti da Tom Wollaert. Non manca la presenza di Linda, che oltre a palesarsi nelle interviste da lei condotte, giunge a noi visivamente tramite vecchi filmati di famiglia. Era infatti doveroso includerla nel documentario basato sul suo impeccabile lavoro senza perdere di vista la storia di Billie, obiettivo principale di Linda stessa.
James Erskine racconta la storia di una donna geniale, che ha lottato con la dipendenza, la misoginia e il razzismo, molto lontana da lui, eppure resa così attuale e potente grazie ad una narrazione efficace e alla cura maniacale di ogni dettaglio. Si riflette infatti il punto di vista di un team etnicamente vario che ha reso il film ancora più fedele alla realtà. Billie è l’opera più completa ed omogenea che abbiamo ad oggi a disposizione sull’iconica artista: uno scrigno che si apre dopo più di cinquant’anni e che quasi non ci sentiamo degni di ammirare, una grandiosa opportunità per chi non conosce Billie Holiday e un vero patrimonio per chi ancora la ama e la ascolta.
Alice Ferro