Una linea, un taglio, un’inquadratura. Questi sono gli strumenti usati dal regista Philip Rizk per tracciare il suo ambizioso percorso di ricostruzione della lunga e complessa storia del colonialismo e delle sue conseguenze che continuano a tormentare i territori più fragili, rimasti privi di sostentamento e in balia del caos. Una sorte condivisa dall’America conquistata dai cowboy fino alla Siria dei giorni nostri.
Il regista racconta il progetto con queste parole: “Questo film è una conversazione visuale tra lotte politiche attraverso il tempo e lo spazio, dalle battaglie anticoloniali dei francesi e degli inglesi negli anni ’20 del Novecento alla rivoluzione siriana del 2011, trattando anche la Spagna del 1936, la memoria revisionista dei soviet russi e la comune di Parigi. Questo film è il mio modo di mettere in relazione la nostra condizione attuale di neo-colonialismo con il passato, un modo per cominciare una conversazione su come prepararci alla prossima battaglia”*.
Il film infatti propone anche un orizzonte di risoluzione per questi conflitti fondati sull’appropriazione, lo sfruttamento e infine l’abbandono di territori e popolazioni privati delle proprie risorse. Bisogna ripartire dall’autoproduzione e dal lavoro agricolo per dare dignità e sostentamento alle persone che ora vivono in condizioni disperate a causa delle guerre e dei soprusi subiti, superare la violenza attraverso la sostenibilità ambientale e la riappropriazione dei territori da parte delle popolazioni autoctone.
Questi temi vengono esposti mentre scorrono immagini tagliate: piccole porzioni dello schermo sono animate dalle immagini, prima una striscia sottile al centro, poi dei riquadri, in cui i movimenti appaiono mossi e concitati. Siamo naturalmente portati a chiederci cosa ci sia nelle porzioni di immagine a noi nascoste, e abbiamo la tentazione di allargare con le mani quei quadri in cui siamo costretti. A queste si aggiungono immagini di film e di reportage, che ritornano più volte a ricordarci che alla fine ciò a cui stiamo assistendo è una storia già vista molte volte, oltre che a segnalarci la difficoltà di procurarsi delle vere immagini dei conflitti raccontati. Il film ci porta per mano in questo viaggio, controbilanciando lo spaesamento provocato delle immagini con il racconto verbale diaristico, più didascalico e lineare.
*“This film is a visual conversation between political struggles across time and space, from anti-colonial battles against the French and British in the 1920s, to the Syrian revolution in 2011, 1936 Spain, a revisionist memory of Russian Soviets, and the Paris Commune amongst others. This film was my way of relating our current neocolonial condition with the past, a way of starting a conversation on how to prepare for the next fight”.
Arianna Vietina