Extraneous Matter – Complete Edition si apre come un film intimista con un “modesto” (ma saldo) formato 4:3 in bianco e nero e l’immagine familiare di un bonsai, seguita dal primo piano di una ragazza addormentata che, una volta sveglia, si prepara un caffè. Più tardi il film, rivelata la natura episodica, allarga inaspettatamente il suo sguardo ed esce dalla dimensione domestica dell’abitazione della ragazza (che non è la protagonista), per rivolgersi ad altri personaggi e alla grande città. Estende così la sua riflessione a una dimensione universale profondamente legata ai demoni della contemporaneità.
In quest’opera, ideata durante il primo periodo della pandemia, il regista giapponese Kenichi Ugana fonde i suoi precedenti cortometraggi trasformandoli in capitoli ed esplorando molti dei temi del cinema sperimentale (non solo nipponico) della seconda metà del Novecento: l’alienazione, l’incomunicabilità, il tentativo di soddisfarne i desideri inappagati, di colmare il vuoto che si avverte all’interno del corpo attraverso, appunto, la “materia estranea” del titolo. I quattro episodi (Extraneous Matter, Coexistence, Propagation e Disappearance) scandiscono infatti il percorso di emancipazione sociale di quei mostri libidinosi e tentacolati che hanno invaso la città – e che diventano i veri protagonisti del film – mostrandosi dapprima minacciosi per poi rivelarsi del tutto innocui, addirittura teneri. Il penultimo frammento, pur mantenendo il tono ironico emerso in quello precedente, è probabilmente il più esplicito nel delineare la sotterranea critica che il film rivolge alla società attuale, incapace di abbattere il muro di tabù che essa stessa ha eretto.
Talvolta ingannandoci, ma per lo più ammaliandoci, Extraneous Matter – Complete Edition fluttua silenziosamente spostandosi dalle atmosfere kammerspiel all’universo del cyberpunk (alla Tetsuo: The Iron Man di Shin’ya Tsukamoto) ma anche al pinku eiga alla Takashi Miike o al body horror d’oltreoceano (Cronenberg, Henenlotter tanto per fare due nomi), fino alla commedia demenzialmente sagace (che, soprattutto nell’episodio Coexistence, ricorda l’umorismo di Jim Jarmusch). Giocando liberamente con i generi in maniera fresca ed essenziale, in un’osmosi che diverte lo spettatore straniandolo con regolarità, Ugana si inserisce armoniosamente ne Le stanze di Rol del Torino Film Festival.
Lisa Cortopassi