La recente ristampa di Tuta blu. Ire, ricordi e sogni di un operaio del Sud del poeta-operaio Tommaso Di Ciaula, è l’occasione perfetta per godersi Tommaso Blu (1987) di Florian Furtwängler, pellicola tratta dal suddetto libro che, nonostante fosse stata girata in Italia e pensata per il pubblico italiano, rimase inedita nel nostro paese. Il proficuo incontro tra lo scrittore pugliese, il sociologo Peter Kammerer e il regista nipote del famoso compositore Wilhelm Furtwängler, portò alla creazione di un film profetico, capace di assorbire le idee anticapitaliste e rivoluzionarie dell’opera originale per tramutarle in un racconto lineare, ma non per questo meno sconvolgente.
Sin a partire dall’icastico incipit nel quale Tommaso (Alessandro Haber) si imbestialisce con la moglie, affermando di essere stato avvelenato in fabbrica, e poi, una volta rimasto solo in casa, sfoga le sue pulsioni sessuali osservando le vicine di casa dal balcone, emerge con chiarezza il dissidio interiore del protagonista. Se si può affermare senza timore di smentita che molte delle teorie espresse da Tommaso fossero in anticipo sui tempi, egli in realtà si sentiva profondamente in ritardo, così tanto da voler tornare indietro. Trascinato da un ancestrale desiderio di ritrovare quel legame fisico con la terra che lo aveva creato e cresciuto, rifiutava l’artificiosità delle fabbriche, non solo per il loro negativo impatto sulla collettività ma, soprattutto, per essere le principali responsabili di una trasformazione tecnologica dell’essere umano che rischiava di allontanarlo pericolosamente dalla sua vera natura. Egli preferiva quindi andare a cavallo (forse retaggio del padre cocchiere) che in automobile, ridicolizzava l’enfasi posta della televisione su semplici momenti di vita, uguali a quelli che lui e altre persone vivevano giornalmente e, soprattutto, adorava il corpo femminile, metà mancante per il raggiungimento della perfezione umana, possibile solo nel momento in cui il sesso maschile e quello femminile si uniscono. Aggiornando alla modernità lo spirito proto-anarchico di Diogene, riteneva che tutte le crescite artificiali della società fossero incompatibili con la verità e la bontà. Sostenitore altresì di un necessario ritorno alla semplicità e del rifiuto delle regole sociali, costrutti, anch’essi autoimposti, che contribuiscono a limitare la libertà dell’uomo, diritto fondamentale acquisito alla nascita ma perso con il passaggio all’età adulta.
<<Abbandoniamo la superbia, ritorniamo a quattro zampe, perché ogni fiore ha bisogno di essere annusato>>. Florian Furtwängler riesce a mettere in scena la regressione tanto agognata da Tommaso, facendola percepire come una trasformazione, e di conseguenza come una liberazione. Non senza l’aiuto della travolgente capacità di Alessandro Haber di esprimere il perenne conflitto vissuto da Tommaso, incontentabile e incontenibile concentrato di caos e disordine che si insinua nella mente dello spettatore, creando una crepa difficilmente sanabile.
Enrico Nicolosi