Tra gli alberi in un bosco di un’anonima località nordamericana, una creatura non-morta si risveglia dal sottosuolo dove era stata sepolta per vendicarsi di un sanguinario torto subito nel passato. Questa è la premessa di In a Violent Nature di Chris Nash, presentato in concorso alla 24° edizione del TOHorror, che, per quanto sia un tipico slasher movie, con evidente richiamo a Venerdì 13 (1980), si delinea progressivamente come un’interessante disamina sul rapporto preda e cacciatore: non tanto quindi una decostruzione post-moderna del genere, a cui una certa produzione horror contemporanea come la trilogia X di Ti West ci ha abituati, quanto un approfondimento di ciò che ne costituisce la sostanza, quella natura violenta di cui fa appunto riferimento il titolo del film.
Johnny, il killer, è un bambino nel corpo di un mostro che, emerso dal terreno in cui era stato sepolto, vaga instancabile tra i sentieri boschivi per recuperare un ciondolo appartenuto alla madre, e preso da un gruppo di turisti dalla sua tomba. Chiunque si trovi fatalmente sulla sua strada è vittima della sua furia omicida. E come il bambino che è ancora dentro di lui, Johnny gioca con i corpi delle vittime, riservando così agli spettatori truculente scene di omicidi, a cui si alternano le lunghe e lente inquadrature dei suoi spostamenti da una preda all’altra. Insistentemente inquadrato in primo piano e di spalle al centro dell’immagine, l’assassino protagonista osserva pazientemente le sue vittime e il loro habitat, si muove silenziosamente e scatta al momento opportuno per uccidere. Costringendoci a prendere il punto di vista di Johnny, il regista ci invita in questo modo a riflettere sulla natura dello sguardo, sulla sua corporeità e di come questo crei inevitabilmente strutture asimmetriche di potere. Vedere è potere e, infatti, le vittime cadono inermi nella trappola dell’assassino proprio perché non riescono a vederlo in tempo per scappare. Il cacciatore osserva, e con lui anche noi sapientemente posizionati alle sue spalle e messi così in guardia dalla materialità fisica, tutt’altro che imparziale, dello sguardo umano.
Tutto questo accade nel contesto perfetto per una caccia spietata: un bosco isolato e lontano dalla civilizzazione. L’assenza visiva di animali, mai mostrati nell’inquadratura ma solo percepiti dai suoni, è colmata dalla costante presenza umana, che diventa la nuova fauna ideale di questo habitat selvaggio. Qui la natura violenta di Johnny si sfoga inarrestabile sulle prede doppiamente vittime della sua ferocia fisica e della sua persecuzione visiva. Una violenza che può forse esaurirsi solo momentaneamente, come accade alla fine del film, prima che riemerga inaspettata e brutale dai recessi in cui era stata sepolta.
Federico Lionetti