Tutti gli articoli di Federico Lionetti

“LE RÈGNE ANIMAL” DI THOMAS CAILLEY

In un presente alternativo, parte della popolazione è colpita da una mutazione che trasforma le persone in creature ibride, in uomini-animali. Non si conoscono le cause né le ragioni. Si sa solo che le vittime di questa malattia possono mettere a rischio l’ordine e la sicurezza pubblica e che, quindi, devono essere controllate, rinchiuse in riserve appositamente costruite, separate dalla società civile. 

Il regista francese Thomas Cailley in Le règne animal, presentato nella sezione Crazies, ci racconta la creazione di un mondo in cui stanno cambiando le frontiere tra ciò che è umano e ciò che è animale. Un cambiamento vissuto dagli intimi punti di vista di un padre (Romain Duris) e di un figlio Émile (Paul Kircher), entrambi affranti per la scomparsa della moglie (e madre), mutata in una di queste creature. Il film mostra l’accettazione di una realtà tanto brutale quanto rappresentativa di un orizzonte in cui l’uomo è chiamato a stabilire un rapporto di convivenza pacifica con gli altri esseri viventi.

Le règne animal è anche il racconto della crescita di Émile e del suo assecondare un destino di trasformazione – un coming of age atipico, accompagnato dai picareschi brani del musicista torinese Andrea Laszlo De Simone. Émile corre tra gli alberi della foresta in cui trascorre le giornate, caccia, nuota nella palude, e urla a pieni polmoni quel grido di libertà che è espressione della natura stessa che cerca di sopravvivere alla dominazione dell’uomo. Il ragazzo ribalta l’immagine che la cosiddetta società civilizzata crea attorno alle creature ibride, facendosi esempio di come la metamorfosi in animale non sia brutalizzazione di sé, ma liberazione dalle leggi distruttive del sistema. Così, Émile, accettando se stesso come parte del règne animal, riflette e comunica nuove prospettive sull’emergenza ecologica. Nuovi modi – resistenti alle dinamiche di potere e di controllo sulla natura – di re-immaginare il rapporto con l’ecosistema.

Federico Lionetti

Articolo pubblicato su “la Repubblica” il 3 dicembre 2023

“HERE” DI BAS DEVOS

Lui, Stefan (Stefan Gota), è un muratore insonne di origini rumene, dal viso arruffato e con i pantaloncini sempre corti; lei, ShuXiu (Liyo Gong), una vivace biologa di origini cinesi, dal dolce sguardo e spesso assorta. Entrambi vagano nella Bruxelles notturna e nei dintorni campestri, tra campi lunghi di palazzi in costruzione e dettagli di muschi e alberi mossi dal vento; si incamminano, si perdono e si ritrovano nel mondo di adesso – un bioma in cui la relazione di dipendenza uomo-natura progredisce in una stabile intesa. 

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“AUGURE (OMEN)” DI BALOJI

Il giovane protagonista (Marc Zinga) e la fidanzata incinta (Lucy Debay) volano dal Belgio in Congo per ristabilire i rapporti con la famiglia di lui, trovandosi però ad affrontare i pregiudizi causati da una voglia che il ragazzo ha sul volto – un cattivo presagio, secondo la tradizione locale, che ne ha negativamente influenzato la vita fin da quando era bambino. Da questo incipit si muove la storia di Augure, film d’apertura della sezione “Crazies” della 41° edizione del Torino Film Festival, e primo lungometraggio dell’eclettico artista Baloji, grafico e musicista belga di origini congolesi. Sulla scena di un dramma familiare, il regista imbastisce la spettacolarità dei corpi umani di un piccolo gruppo locale, rappresentando in questo modo i colori e i costumi di una cultura a metà tra l’effettiva tradizione africana e l’inventiva fantasmagorica del regista. Un allestimento visivo che valica i confini del mondano, portandoci verso la magia della fiaba e l’inquietudine dell’inconscio.

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“DOR (LONGING)” DI JANNES CALLENS

Afflitto da una ricerca senza meta, il protagonista di DOR (Longing), il belga-rumeno Stefan Gota, ritorna nella sua terra d’origine – nei paesaggi bucolici della Romania – per tentare così di trovare la risposta giusta tra le “infinite che ci sono”. Il regista Jannes Callens, tuttavia, si trattiene dal dichiarare quale sia il senso scovato dal giovane, estendendo alle immagini l’atmosfera di sospensione e di desiderio – da cui il nome del mediometraggio – che concretizza gli affetti del protagonista.

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“THE VISITORS” DI VERONIKA LIŠKOVÁ

In The Visitors la regista Veronika Lišková si interroga su quale possa essere l’impatto delle scienze sociali sulla comunità, seguendo il lavoro svolto dalla sociologa (e amica) Zdenka nel suo progetto di analisi dei mutamenti sociali causati dai cambiamenti climatici nelle isole norvegesi Svalbard (nel circolo polare artico). Il film, in concorso nella sezione lungometraggi del Job Film Days, nonostante il nobile intento, fatica nella costruzione narrativa, perdendosi nei fili tematici che non vengono mai esaustivamente intrecciati tra di loro e smarrendosi nel tentativo di mostrare in che termini le scienze sociali possano essere uno strumento risolutivo per la crisi di una comunità. 

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“GODLAND” DI HLYNUR PÁLMASON

Godland, ultimo film di Hlynur Pálmason, già vincitore della sezione lungometraggi del Torino Film Festival con A white, white day (2019), è una storia di frontiera, il racconto di un prete e fotografo danese (Helliott Crosset Hove) costretto a percorrere l’impervio territorio islandese per raggiungere un villaggio della costa sud-occidentale e costruirci una chiesa. Della spiritualità religiosa, tuttavia, rimane solo il corpo – la carne del mondo nella sua ineluttabile decomposizione. Una spiritualità, quindi, costantemente rigettata nella visceralità delle carni animali, nella trivialità del fango fuori dalle chiese e nell’imprevisto volo di una mosca sul volto senza macchia di un prete. 

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“FARE L’ATTORE. PERCORSI E DIALOGHI SU FORMAZIONE E RECITAZIONE”

Presso l’Università di Torino, il 29 e il 30 novembre si è tenuto il convegno di studi  “Fare l’attore. Percorsi e dialoghi su formazione e recitazione” organizzato dal progetto “F-ACTOR” in collaborazione con UniVerso e curato dalla professoressa Mariapaola Pierini. Il convegno si inserisce, appunto, nel piano di ricerca del progetto “F-ACTOR”, dedicato alla mappatura della professione dell’attore nello scenario mediale italiano contemporaneo, secondo metodologie e prospettive di studio che fanno riferimento ai performance studies, agli studi sul divismo e ai media production studies.

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“VIENS JE T’EMMÈNE” DI ALAIN GUIRAUDIE

Nella teoria delle relazioni sociali precostituite, la pratica degli affetti permette di scardinare le certezze su cui l’individuo fonda il rapporto con l’altro. La vita è un tumulto di incontri inaspettati, di desideri effimeri e transitori, di dolorose interferenze esterne e di impedimenti accidentali: l’uomo deve abituarsi alla mutevolezza della vita, rendendo se stesso e i propri desideri incostanti quanto le imprevedibili circostanze della realtà.

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