Non ha mancato di fare rumore anche al Torino Film Festival il lungometraggio diretto da Flying Lotus, Kuso, presentato nella sezione “After Hours” e in palinsesto nel programma della “Notte Horror”. Dopo il Sundance, alcuni spettatori sono scappati a gambe levate anche dalle nostre sale cinematografiche torinesi, inorriditi e disgustati dal viaggio sotto psichedelici partorito dalla mente di questo musicista di elettronica e rapper originario di Los Angeles. Perché il film di FlyLo non è un film, è un’esperienza scioccante dai contenuti volutamente provocatori.
Partiamo da qualche considerazione sul titolo:“kuso” è un volgare intercalare giapponese paragonabile al nostro “merda!” che nella cultura di internet – quella più in profondità nel web, legata alle comunità di gamers – sta a indicare tutto ciò che è parodistico, oltraggioso, di bassa qualità, squisitamente camp. E di questo tratta, indicativamente, Kuso, con le sue quattro principali sequenze narrative: riassumere la trama sarebbe impossibile dal momento che non ne esiste una organica. Ci sono, invece, blocchi narrativi ben definiti, cortometraggi presumibilmente tutti ambientati nello stesso “universo”, uniti tra loro da un montaggio parallelo “griffittiano”, volendo citarne il più celebre capostipite. A demarcare il passaggio tra un blocco narrativo e un altro il rumore bianco televisivo di natura ironicamente metatestuale – come lo saranno alcune sequenze – oppure intermezzi musicali accompagnati da sperimentazioni visive, di grafica bi o tridimensionale, angoscianti e grottesche. Queste le uniche due direttive per muoversi nello spazio marcescente creato da Flying Lotus, abitato da esseri umani con deformazioni fisiche e piaghe evidenti, a proprio agio nello squallore e sopravvissuti a un misterioso sisma, unico elemento narrativo ricorrente delle diverse narrazioni.
Perversioni disgustose, ossessioni escatologiche, fluidi corporei e insanità mentale – dei personaggi e del film stesso: un body horror dunque, ma anche una comedy che non manca di far ridere con il proprio humor totalmente dissacrante, vicinissimo all’umorismo del web e a quei fenomeni sviluppati nella sua comunità, a partire dai memes per arrivare a David Firth. Uno degli sceneggiatori del film è infatti la mente dietro ad alcuni corti raccapriccianti che girano su youtube, come Salad Fingers o Cream, dall’impatto visivo molto urtante. Non mancano i riferimenti visivi a Lynch, Cronenberg, maestri del conturbante, qui ingoiati e digeriti in dinamiche nonsense. Succhi gastrici e materia fecale, ecco quello che stiamo guardando; lo suggerisce il regista stesso attraverso i suoi personaggi, strizzando abilmente l’occhio al pubblico in sala.
Kuso è una puntata per adulti dallo stomaco forte di Leone il cane fifone; è il love child di Cartoon Network e Chris Cunningham, sboccato e compulsivo. Si prende gioco dell’arte in un meccanismo simile a quelli alla base del “dada” o della Merda d’artista di Manzoni. Inutile, quindi, cercare di trovarne un senso: i dialoghi, conditi di slang da strada, sembrano sfiorare temi misantropi e di critica sociale, ma subito dopo ne seguono altri totalmente schizofrenici ed astratti. Schizofreniche anche le tecniche utilizzate – riprese dal vero, animazione digitale, stop motion – e la colonna sonora che spazia dal musical al jazz alla musica elettronica, tra cui bisogna ricordare Aphex Twin, che con Cunningham aveva lavorato al videoclip di Come To Daddy – possibile influenza visiva insieme alle moltissime altre.