Napalm è il racconto del breve incontro romantico che Claude Lanzmann ebbe con una giovane infermiera nord coreana nel 1958. All’epoca egli era un membro della prima delegazione occidentale in visita nel paese dopo la sanguinosa guerra dei tre anni: per un caso del destino si ritrova da solo con una bellissima donna della Croce Rossa e se ne innamora. I due condividono un pomeriggio romantico, comunicando solo attraverso i disegni, dato che l’unica parola che entrambi riescono a comprendere è “napalm”. Ma il partito comunista non permette ai due di continuare la relazione amorosa e, una volta scoperta, sono costretti a separarsi. Una storia forte, intensa e romantica, che avrebbe tutte le potenzialità per diventare un racconto affascinante (e lo ha fatto sulla carta).
Nei primi interessantissimi minuti del film Lanzmann ci mostra un aspetto della Corea del Nord sorprendente e sconosciuto a noi occidentali. La città, i riti, lo sport: ogni immagine è ovviamente supervisionata dai membri del governo che non si staccano mai (letteralmente) dal regista, il quale riesce, nonostante tutto, a restituirci un quadro inedito della capitale Pyongyang. Purtroppo questo aspetto non viene e non può essere approfondito, anche per motivi di censura governativa. I restanti tre quarti di film si risolvono in un primo piano dello stesso Lanzmann che espone direttamente alla camera la sua romantica avventura; da qui in poi questa inquadratura subirà pochissimi stacchi, lasciandoci per un lungo periodo di tempo ad ascoltare. La scelta del regista, dovuta anche alla delusione della trasposizione cinematografica di un suo precedente racconto (Elise ou la vraie vie), rende il film una confessione intima, la rievocazione di un ricordo personale che tuttavia fatica a raggiungere lo spettatore. È un vero peccato che un’avventura così affascinante e romantica non abbia trovato una forma più trascinante per essere raccontata. Inoltre, per come è impostata la struttura del film, la giornata speciale di Lanzman passa in secondo piano rispetto alla vita nella Corea del Nord. Le immagini e informazioni sul presente del Paese contrapposte all’unica inquadratura usata per la seconda parte del film, ci fanno uscire dalla sala con alcuni rimpianti – che forse sono quelli dello stesso regista.