Rievoca il titolo del romanzo di Emilio Salgari il ciclo Straordinarie Avventure della sezione Italiana.corti: tutti i sei cortometraggi, infatti, presentano un viaggio, fisico o metaforico, una scoperta del fantastico attraverso l’immagine.
Apre il ciclo Robhot, corto d’animazione fuori concorso di Donato Sansone realizzato completamente “a mano”. La storia, come ha affermato l’autore, è estremamente semplice: si tratta di un combattimento che omaggia l’animazione giapponese a tema robot degli anni Ottanta. Un lavoro che ha visto una genesi molto lunga: progettato nel 2013, abbandonato per molto tempo, poi ripreso e terminato per volere dei produttori francesi. Irresistibile lo stile animato dell’opera che sceglie la forma abbozzata dello scarabocchio; spassoso il finale a sorpresa.
Riprende l’universo fantascientifico anche Blue Screen di Alessandro Arfuso e Riccardo Bolo, un progetto realizzato grazie al Premio Zavattini assegnato da Aamod. Il corto consiste in un singolare lavoro di found footage, in quanto mescola in modo creativo immagini d’archivio costruendo una storia di fantascienza tramite il collante del voice over. Un esperimento interessante che testimonia il possibile riutilizzo di materiale preesistente a scopo narrativo.
È la Fine di un amore quella raccontata nel corto di Alberto Tamburelli, che mette in scena una coppia di amanti dediti ai furti e alla libertà. Non troppo convincente l’interpretazione degli attori, i cui interventi verbali sono limitati alla voice over; apprezzabili le inquadrature molto curate, che attraverso la camera fissa danno risalto all’ambiente e alla natura.
Giorgia Ruggiano partecipa al concorso documentando l’isolamento di Ida, un’anziana signora che vive in un appartamento fatiscente in compagnia dei piccioni. La sua quiete è interrotta dal volere della figlia, che decide di ristrutturare l’abitazione e interrompere l’ingresso dei volatili, unico conforto della donna. Un personaggio a cui ci si affeziona immediatamente, un ritratto commovente della solitudine.
Danilo Monte documenta invece Il viaggio di nozze suo e della moglie in India, segnato dal disperato tentativo concepire un figlio con tecniche alternative, e dalla presenza costante di un lancinante mal di testa. Si mescola la vena documentaristica – che regala belle immagini dei paesaggi indiani – con quella intimistica, in un risultato originale e coinvolgente.
Chiude il ciclo il più coraggioso dei sei cortometraggi: Dagadòl di Mariachiara Pernisa e Morgan Menegazzo, che tenta di recuperare il potere esoterico e primordiale dell’immagine, di svelare l’invisibile in un serrato gioco di rimandi, in aperta polemica con la sovrabbondanza di immagini-merce che saturano la contemporaneità. Un caleidoscopio in cui lo spettatore si abbandona e raggiunge l’inconscio.