Giorgio Arlorio e Pietro Perotti. Due contesti e percorsi diversi accomunati però dallo stesso ardore politico e sociale, espressione di un senso della collettività raro. I due si incontrano alla consegna del premio Adriana Prolo (avvenuta il 23 novembre 2018), destinato a personalità del mondo del cinema che si sono particolarmente distinte. Conferimento giunto alla sua 17esima edizione e all’interno del TFF, che si sdoppia – così come il numero monografico di «Mondo Nuovo 18/24 ft/s», notiziario dell’Associazione Museo Nazionale del Cinema – per omaggiare due figure che al cinema italiano e alla sua comunità hanno dato un apporto importante.
Giorgio Arlorio è artista eclettico, con inizi da montatore e una brillante carriera come sceneggiatore dall’impronta fortemente letteraria. Egli intercetta una stagione del cinema italiano, a partire dall’esordio nel 1959, che lo vede affiancare in primis Carlo Lizzani, poi Pietro Germi e Mario Soldati e, ancora, Furio Scarpelli, Steno, Mario Monicelli e Gillo Pontecorvo. Ha, inoltre, lavorato per la televisione ideando, negli anni Sessanta, Specchio segreto e Chi l’ha visto?; ha tenuto corsi di sceneggiatura al Centro Sperimentale di Roma.
La serata della consegna del premio, anticipata da una conferenza stampa mattutina, ha visto la coinvolgente laudatio, firmata da Steve Della Casa, Vittorio Sclaverani e Caterina Taricano, i quali hanno evidenziato l’unicità e la grandezza dell’artista piemontese. Questa risiede nella fermezza con cui ha sempre sostenuto la creazione dell’opera d’arte più che come appannaggio del singolo, espressione di una collettività variegata negli approcci ma concorde nell’esito. Comunità che egli aveva contribuito a formare nella consapevolezza e nei valori, come ricorda orgogliosamente la figlia Sasha Arlorio, presente in sala. Ritratto di un intellettuale d’altri tempi, umile, disponibile e convinto fermamente del potenziale del cinema come espressione di un lavorare insieme, di una condivisione che gli ha fatto evitare di attribuirsi la paternità assoluta di un film, come suggella Steve Della Casa.
Dal paese di Ghemme, in provincia di Novara, parte invece il percorso del secondo premiato di serata, Pietro Perotti, la cui carriera lavorativa lo conduce nel 1969 alla Fiat Mirafiori, allora la più grande industria metalmeccanica d’Europa. Ed è in questo microcosmo che Pietro Perotti si unisce alla compatta lotta operaia degli anni compresi fra il 1969, subito dopo i fatti di Corso Traiano, e il 1980 quando 14 000 operai rischiano il licenziamento. Pietro Perotti, la cui laudatio spetta al collega e amico eterno Marco Revelli, non senza commozione ricorda quegli anni trascorsi alla conquista di giustizia e dignità per tutti i lavoratori.
Il film Senzachiederepermesso (2014), firmato a quattro mani dallo stesso Perotti e da Pier Milanese e proiettato al termine della premiazione, offre alla storiografia un documento sulla lotta operaia di rara rilevanza. Narrato dalla voice over partecipe e spontanea del regista ed ex operaio, abbina immagini d’archivio provenienti da AAMOD (Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico) come il film Contratto, riferimento filmico principale per le grandi lotte operaie, e brani di film girati in pellicola Super8 dallo stesso Pietro Perotti a partire dal 1973. Il documentario racconta le assemblee, i cortei, i momenti ludici, le conquiste sul salario e sugli orari, i volti, i nomi e anche le paure che il proprio grido genuino sia confuso con gli atti di terrorismo di quel periodo. Una classe operaia, quella descritta, mai come allora compatta, in cui i momenti di aggregazione si alternano a quelli di lotta e in cui si riscopre la componente artistica del lavoro di comunicazione, all’interno della fabbrica, di Pietro Perotti come scultore, teatrante, artista, illustratore e persino writer nei bagni, sempre con quel tono appassionato e irriverente, indispensabile per dar voce e diffusione ai suoi ideali.