La seconda Masterclass del 38° Torino Film Festival si è svolta domenica 22 novembre e ha ospitato il regista Aleksandr Sokurov e i suoi allievi dell’Università Statale di San Pietroburgo. Come precisato da Alena Shumakova, curatrice dell’incontro, il maestro Sokurov non ha bisogno di molte presentazioni: autore di documentari, elegie e film innovativi (fra i tanti, Arca russa, 2002), è uno dei più importanti registi russi. In questa sede, comunque, Sokurov ha preferito dare rilievo alla sua attività didattica, lasciando spazio al dialogo tra i suoi studenti e quelli dell’Università e del Politecnico di Torino. Questi ultimi, infatti, hanno potuto visionare in anteprima Il tempo degli inizi (2020), l’insieme di cortometraggi realizzati dagli allievi russi. In merito a queste opere, il maestro ha precisato che nel suo percorso di docente cerca sempre di non influenzare gli studenti con la sua personale visione di cinema; ogni studente presenta caratteristiche e influenze diverse, che vanno coltivate e preservate. Gli studenti a loro volta hanno confermato questo modus operandi: il maestro apre orizzonti di possibilità, senza mostrare esempi concreti.
Gli studenti di San Pietroburgo, per la prima volta a un festival internazionale, stanno vivendo anche l’esperienza della prima mondiale dei loro cortometraggi; non mascherano, in effetti, né l’emozione né le ansie, soprattutto per il timore che il frutto del loro lavoro non venga compreso a causa delle differenze culturali di una parte del pubblico. Questa apprensione ha quindi dato modo di esplorare come il linguaggio cinematografico sia universale; anche se ogni immagine, o sequenza di immagini, può essere oggetto di diverse interpretazioni, le loro opere ne traggono comunque vantaggio, senza che il messaggio originario venga compromesso.
Insieme alle (presunte) differenze culturali, è emerso un aspetto più personale, vale a dire quanto il background individuale abbia influenzato il modo di fare cinema di ciascuno. In effetti, gli allievi di Sokurov provengono dagli ambiti più disparati: chi faceva il militare, chi ha studiato ingegneria, chi continua a essere un operatore sanitario. Se da un lato, nella maggior parte dei casi, l’incontro con il cinema è avvenuto casualmente, dall’altro questa forte eterogeneità valorizza il loro lavoro di regia: ognuno, a partire dalle proprie esperienze, ha una propria visione del mondo e una specifica maniera di raccontarlo.
La curiosità degli studenti italiani, che affrontano studi per lo più teorici, si è poi rivolta ai problemi pratici che gli allievi russi hanno dovuto affrontare realizzando i propri film. Tutti hanno convenuto che la mancanza di tempo o di risorse finanziare sia l’aspetto più ricorrente, ma hanno voluto sottolineare come le difficoltà più importanti, comunque, si presentino altrove. Per alcuni si tratta di problemi personali: la fiducia in se stessi può venire meno, con un’inevitabile ricaduta sul lavoro creativo; per altri si tratta di questioni legate alle aspettative: alla revisione del lavoro dei mesi precedenti, questo può apparire banale e diverso da come era stato ideato in origine.
Questa “spedizione torinese” è stata l’opportunità per un confronto tanto costruttivo quanto necessario. Il cinema si riconferma ancora una volta un linguaggio che annulla i confini geografici e culturali e, come suggerito dagli studenti russi, rimane la forma d’arte più completa, capace di accogliere in sé le altre arti – la letteratura, la poesia e la pittura. Non resta, quindi, che augurarci di vedere nei festival futuri i film di questa nuova generazione di cineasti russi.
Laura Anania