“City of Wind” di Lkhagvadulam Purev-Ochir

“La figura dello sciamano nasce nelle società primitive per risolvere problematiche di base per la sopravvivenza delle società. Egli tende ad assumere un comportamento di carattere estatico, ponte fra le energie spirituali e quelle terrene, canale della volontà divina e delle forze della natura che mette a disposizione dell’umanità attraverso l’amore e la comprensione”. Questa una descrizione accademica dello sciamano, figura protagonista di City of Wind (2023), opera prima della regista mongola Lkhagvadulam Purev-Ochir, presentato nella Sezione Orizzonti dell’80a Mostra del Cinema di Venezia.

L’immensa steppa innevata della Mongolia, fredda e inospitale ma allo stesso tempo calma e accogliente, centro di una realtà sospesa che sembra rimasta ferma ai tempi antichi, diventa un personaggio fondamentale in City of Wind. Zé, un giovane sciamano diciassettenne, dopo un incontro fortuito con la coetanea Maralaa si troverà improvvisamente a dover mettere in discussione sé stesso e la propria identità. Essere uno sciamano che aiuta le persona incarnando “lo spirito dell’antenato” o lasciarsi andare a spensierati amori adolescenziali? Dubbio che attanaglia questo ragazzo timido e diligente, nella cui storia, pur ambientata in una terra lontana, sembra riecheggiare le tante contraddizioni che vivono tutti gli adolescenti, a cui viene richiesto, fin dalla giovane età, di definirsi in maniera netta in una società che non accetta mezzi termini. Sarà proprio questo il limite che lo porterà a prendere maggiore coscienza di di sé e del proprio ruolo.

La giovane cineasta ha utilizzato lo stesso soggetto nel suo primo cortometraggio Šiluus (2020) e ne ha sviluppato la trama e gli orizzonti anche grazie alla partecipazione a ScriptLab, il programma di sviluppo del TorinoFilmLab. La storia del film precedente è però raccontata dal punto di vista della ragazza, figura chiave che aiuta Zé in un tipico rito di passaggio per un adolescente: perdere la testa per una ragazza non particolarmente interessata perché troppo presa dalle vicende familiari. Ma il film non si ferma a ciò, mette in scena in maniera profonda e delicata che cosa vuol dire nascere e vivere in una cultura che educa i propri giovani come soldati pronti per la guerra della loro vita futura, a cui solo un latrato animale potrà ribellarsi per porre fine ai maltrattamenti.

City of Wind non pretende di essere perfetto: è un’opera prima che si mette in gioco, che prova a mostrare una realtà difficilmente nota in Occidente, quella delle comunità euroasiatiche che vivono tra la ricchezza e agiatezza delle metropoli e la totale povertà dovuta ai limiti strutturali dei territori.

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