“INSIDE THE YELLOW COCOON SHELL” DI THIEN AN PHAM

A Saigon, in un bar affollato per i mondiali di calcio di Russia 2018, tre ragazzi discutono sull’esistenza di Dio. Uno è ateo, un altro è convinto di poter trovare una sua testimonianza avvicinandosi alla natura e il terzo, Thien (Le Phong Vu), non riesce a trovare la fede nonostante lo desideri. Questa e tantissime altre “invocazioni” stabiliscono il vero obiettivo del viaggio che inizierà di lì a poco: il tentativo di trovare anche una piccolissima traccia immanente della grandezza del divino. Ciò che stupisce – ed è bene dirlo subito – è l’intuizione di Thien An Pham, qui al suo esordio, di non limitarsi ad assecondare l’indagine del suo protagonista ma di arricchire questo dialogo teologico con la sua personale osservazione effettuata tramite il mezzo cinematografico.  

Un’opera fluviale, come le piogge torrenziali che colpiscono e ostacolano il cammino di Thien: una disperata ricerca del fratello scomparso diversi anni prima, con lo scopo di restituirgli il figlio da lui abbandonato, diventato orfano dopo la morte della madre. La motivazione profonda va però rintracciata in un dubbio mai risolto che attanaglia il protagonista: il fratello è fuggito per costruirsi una nuova famiglia o ha invece rinunciato alla sua precedente vita per prendere i voti? Un atto di fede, anche in questo caso, impossibile per Thien, che durante il percorso vede vacillare la sua convinzione che alla base dell’atto inspiegabile e crudele del fratello vi sia in realtà una bontà di fondo. Domanda che, come anticipato, può essere estesa al senso della vita stessa.

La ferma volontà del regista di non arrogarsi del diritto di rispondere a questa domanda porta il film a prendere la forma di un test di Rorschach, ovvero una sequela di immagini che verranno recepite diversamente da ogni spettatore sulla base delle loro idee preesistenti. Del resto quello che vediamo nello schermo è tutt’altro che univoco, bensì misterioso e multiforme: la visuale della macchina da presa, raramente posta in un punto privilegiato, viene spesso ostacolata da finestre, muri e porte che segmentano la profondità. Il quadro frazionato risulta quindi insondabile dal nostro sguardo ancorato ai movimenti quasi esclusivamente orizzontali della macchina da presa che, solo al di fuori del caos della città, sembra potersi appropriare completamente dello spazio circostante. Superando i confini della metropoli cambia inevitabilmente la mentalità, la semplicità della quotidianità viene affiancata da convinzioni nette e inequivocabili che non fanno altro che alimentare i dubbi Thien. La fede del resto è tale solo se cieca e infondata.

Enrico Nicolosi

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