“VINCENT DOIT MOURIR” DI STÈPHAN CASTANG

La violenza scaturisce dagli occhi di chi guarda: a Vincent (Karim Leklou), per essere aggredito, basta incrociare lo sguardo di qualcuno. Questa – banale – azione quotidiana è foriera, in Vincent doit mourir, di una crudeltà senza fine, destinata a protrarsi di giorno in giorno, ogni volta con modalità inedite. La violenza si diffonde, in modo quasi epidemico, tramite attacchi scomposti e impacciati di civili totalmente inadatti al combattimento. Si innesca così una follia che ha una venatura grottesca: queste persone vogliono disperatamente uccidere Vincent ma, al tempo stesso, ne sono incapaci.

Tramite questo meccanismo paradossale, Stéphan Castang, regista al suo primo lungometraggio, crea situazioni smaccatamente assurde, capaci di far ridere anche quando, da ridere, non c’è granché. Castang non rinuncia alla tensione, rimanendo fedele alla commistione di generi – tra horror e commedia – che caratterizza il film. Non solo alcuni degli attacchi sono per Vincent più minacciosi e difficili da sventare ma, dentro la sua mente, comincia ad annidarsi il germe della paranoia. Vincent non riesce a capire il motivo di questi continui soprusi e, col passare dei mesi, smette di cercare una causa tangibile e inizia invece a chiedersi: «Quanto tempo mi rimane?».

In concorso nella sezione Crazies del Torino Film Festival, Vincent doit mourir è la storia di un uomo che, di fronte a una situazione di follia, usa la propria solitudine come una roccaforte. Scappa dalla città per rifugiarsi in campagna, terrorizzato all’idea di incrociare lo sguardo di un altro essere umano. L’intimità, nel mondo di Vincent come nel nostro, fa paura, e le uniche persone con cui Vincent riesce a entrare umanamente in contatto sono coloro che vivono ai margini della società. Tra questi c’è Margaux (Vimala Pons), cameriera sommersa dai debiti, di cui Vincent si innamora. Questo incontro non è, però, risolutore: l’amore, più che una salvezza, è solo un attimo di respiro nell’abisso della violenza.

Articolo pubblicato su “la Repubblica” il 28 Novembre 2023

Marta Faggi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *