Una musica off dalla tonalità straordinariamente soave esce da un pianoforte sia all’inizio sia alla fine del film di Quentin Dupieux, in arte Mr. Oizo: è il sottofondo musicale ideale per accompagnare con grazia un’opera cinematografica meta-artistica da cui, seppur in maniera immancabilmente comica (come ormai ci ha abituato il gusto per l’assurdo e per il nonsense del regista), traspare un messaggio per e sull’arte che, lungi dall’essere fuori posto nella filmografia del regista, ben si amalgama alla denuncia della situazione ambientale di Fumer Fait Tousser (2022), al rapporto amicale di Mandibules – Due uomini e una mosca (2020) e all’estremo feticismo per le giacche scamosciate di Doppia pelle (2019).
Per il secondo anno consecutivo fuori concorso al TFF, l’estro irriverente del regista francese continua a deliziare il pubblico torinese. In quest’occasione il paradossale e l’onirico sono appannaggio di un criminale incredibilmente comico che si improvvisa drammaturgo e regista teatrale: quello che apparentemente si potrebbe definire un raptus di follia, in realtà si rivela una decisione ben ponderata. Tramite questo “golpe artistico”, Yannick – nome del regista-criminale, titolo del film, e, chi lo sa, forse anche dell’opera teatrale che il protagonista mette in scena nell’ultimissimo atto – riesce a liberarsi da quella scomoda posizione cui è costretto lo spettatore: seduto e senza possibilità di interrompere lo spettacolo, sia esso teatrale, cinematografico o di qualsivoglia natura artistica, anche se questo non incontra i suoi gusti. Un vero e proprio ostaggio. «Ma il gusto è soggettivo» asserisce uno degli attori impegnati nella pièce comica Il cornuto. Ha perfettamente ragione: ma, come gli attori hanno il diritto di interpretare personaggi che ritengono gradevoli, così gli spettatori dovrebbero essere legittimati nell’esprimere il proprio parere, gli rinfaccia Yannick.
![](http://cinedamstorino.it/wp-content/uploads/2023/12/OFF_Yannik_01_©ATELIER-DE-PRODUCTION-CHI-FOU-MI-PRODUCTIONS-QUENTIN-DUPIEUX-2023-1-1024x768.jpg)
Il nostro protagonista supera però di gran lunga i limiti imposti dalla giustizia e il suo disappunto si trasforma in un’azione illegale, condita da un sapiente spirito umoristico creato dallo stesso Yannick: si gratta ininterrottamente la testa, si scaccola, compie gesti improvvisi, incontrollati e totalmente insensati, che seppur narrativamente giustificabili dalla situazione di stress in cui si ritrova per via dei suoi comportamenti, non possono non dar vita a una situazione bizzarra e grottesca.
Con Yannick Dupieux ci espone dunque la sua idea sull’arte: un’entità così potente da riuscire a provocare ostaggi allo stesso modo di un’azione criminale. A questa conseguenza fa dà contraltare l’ultimo primo piano del film: una lacrima di felicità e appagamento riga il volto di uno Yannick estasiato, investito dal processo catartico che solo la realizzazione artistica può stimolare. Il film, però, non si chiude su quest’inquadratura poetica e azzarderei a dire dreyeriana, ma con l’arrivo a teatro della polizia, pronta a rovinare la prima del più spassoso degli “artisti per una notte”.
Davide Gravina