“Bridge of Spies” (“Il ponte delle spie”) di Steven Spielberg

1957, Brooklyn. Rudolph Abel (Mark Rylance) è un mansueto pittore. Una mattina viene arrestato dall’FBI con l’accusa di spionaggio per conto dei Sovietici. Della sua difesa viene incaricato James B. Donovan (un sontuoso Tom Hanks), noto avvocato che si attira le antipatie di un’opinione pubblica e una giustizia prevenute e non imparziali nei confronti di Abel. Ma le tensioni della Guerra Fredda sono incombenti (lo studente Pryor è arrestato a Berlino; il pilota americano Gary Powers alla guida di un aereo-spia viene abbattuto e catturato in Unione Sovietica) e costringono Donovan al difficile compito di mediatore in una Berlino in cui i muri, non solo ideologici, si stanno innalzando. Continua la lettura di “Bridge of Spies” (“Il ponte delle spie”) di Steven Spielberg

Intervista a Samuele Sestieri e Olmo Amato, registi de “I racconti dell’orso”

Gli studenti del Dams Cinema guardano ai film in concorso al Torino Film Festival con passione, critica ed ammirazione. Romanticamente sperano di essere lì, un giorno, a presentare una loro opera.Samuele Sestieri ha un passato come critico cinematografico e Olmo Amato come regista di cortometraggi; la loro giovane età e il fatto di essere in concorso con la loro opera prima, ci dà fiducia e speranza.

I racconti dell'orso - film

Li abbiamo incontrati ed intervistati per cercare di capire le difficoltà che giovani cineasti possono incontrare nella realizzazione del loro primo lungometraggio.

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“Prima che la vita cambi noi” di Felice Pesoli – Incontro con gli studenti DAMS

Milano, fine anni Sessanta. Umberto è un adolescente che decide di farsi crescere i capelli, i professori lo guardano storto e puntandogli l’indice in fronte gli suggeriscono di tagliarli. Un gruppo di suoi compagni di classe lo chiude in bagno, minacciando i suoi ciuffi con un paio di forbici da barbiere. Lui urla, si dimena e dopo pochi minuti gli amici fricchettoni scardinano la porta, entrano ed è subito rissa. Secondo Felice Pesoli tutto è cominciato lì, da una banda di capelloni che ha deciso, senza troppa coscienza politica, di minare quell’ideale conservatore di mascolinità che i genitori avevano ben ereditato dai loro padri, quarant’anni prima.

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Premio Cipputi alla carriera a Francesca Comencini

A vent’anni dalla sua nascita il premio Cipputi viene assegnato a Francesca Comencini, unica cineasta ad aver avuto per due volte questo onore, nel 2007 per il film In fabbrica e quest’anno come riconoscimento per la sua carriera.

La regista è particolarmente legata a questo premio, anche perché sotto la direzione di Gianni Amelio aveva fatto parte in passato della giuria dello stesso. Afferma che è molto legata a In fabbrica e si rifiuta di incasellarlo all’interno di un genere ben definito. L’intento della Comencini non è infatti quello di fare film sul tema del lavoro, ma quello di “raccontare” le persone: “film contemporanei esposti in modo familiare”, specchi delle vite degli altri. Il lavoro è solo uno dei ounti di vista possibili per raccontare gli esseri umani ai giorni nostri.

Cita l’esempio di Mobbing – Mi piace lavorare, film che tratta il tema spinoso delle donne all’interno di un mondo del lavoro maschilista. Francesca Comencini si lamenta della scarsa presenza di registe e di personaggi femminili che non siano subalterni a quelli maschili nei film italiani; riscontra ad esempio un’insopportabile retorica nella visione maschile di temi come la maternità. La sua personale visione collettivistica tutta al femminile e le sue convinzioni politiche condizionano ovviamente il suo modo di lavorare .

Un giornalista chiede cosa pensi la Comencini della serie televisiva Gomorra di cui ha scritto due episodi nella prima stagione e prevede di firmarne tre nella seconda. Ammette di essere “elettrizzata” per questo lavoro e di essere pronta a far valere il suo punto di vista femminile nella serie. Per l’episodio 7, da lei scritto, rivela di essersi ispirata ai suoi documentari sul lavoro al fine di rendere verosimile l’organizzazione criminale dello spaccio: anche lì sono necessarie regole e orari ferrei.

Tra i progetti futuri di Francesca Comencini c’è la collaborazione con il progetto Fandango intitolato Nella battaglia: un film sulla lotta sentimentale tra uomo e donna, fuori da un ordine patriarcale precostituito, alla ricerca di una parità di ruoli che mantenga le caratteristiche di genere.

“Blade Runner” di Ridley Scott

Los Angeles, 2019. In una città caotica, sovrappopolata, inquinata e sferzata da una perenne pioggia battente, si snodano le vicende di Rick Deckard (un Harrison Ford post Indiana Jones), cacciatore d’androidi, che ha la missione di “pensionare” un gruppo di replicanti ribelli guidati dal misterioso e carismatico Roy Batty (Rutger Hauer, olandese al suo primo film americano – da ricordare che  fu considerato per il ruolo anche David Bowie). Ma la conoscenza di Rachel (la bellissima Sean Young), replicante ma dai sentimenti umani, sconvolge la missione del cacciatore fino all’epico e ambiguo finale. La sceneggiatura si ispira al racconto Do Androids Dream of Electric Sheep? Di Philip K. Dick.

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Premio Maria Adriana Prolo 2015 a Lorenza Mazzetti

Quando la si vede dietro il grande tavolo rosso delle conferenze stampa, un po’ piccolina tra Stefano “Steve” Della Casa e David Grieco, non si può fare a meno di pensare a tutte le vite vissute da Lorenza Mazzetti. Se le porta dietro e addosso: un basco nero appoggiato sui capelli ribelli, il taglio degli occhi disegnato all’ingiù, la voce calma e quel suo modo magnetico di raccontarsi e farci stare incollati alle sedie senza perdere nemmeno una parola.
“Io le cose ve le dico, ma sarebbe meglio che leggeste Diario londinese, il mio ultimo libro”.
Ironica, scanzonata, anticonformista. Non è cambiata molto dal 1956, quando firmava il manifesto del Free Cinema insieme a Lindsay Anderson, Karel Reisz e Tony Richardson.

lorenza mazzetti free cinemaLa sua è una bella storia che inizia in un locale in centro a Londra, quando Lorenza era una cameriera dalla lingua svelta che voleva iscriversi alla Slade School of Fine Art senza un soldo, né i moduli necessari. La segretaria la cacciò, lei iniziò ad urlare e da una delle porte uscì “un uomo in bretelle, probabilmente un inserviente che chiese cosa stava succedendo. ‘Io voglio venire qui ad imparare, a dipingere, a lavorare!’ gli dissi. ‘Ma perché proprio qui?’ ‘Perché sono un genio!’ Non sapevo che altro dirgli.”
Il signore le dà dei moduli da compilare dei fogli e le dice di presentarsi la mattina seguente.
“Io ero anche un po’ perplessa e gli ho chiesto: “Ma cosa dirà il direttore?” “Niente, perché il direttore sono io!” Insomma, aveva le bretelle ed era in maniche di camicia e gli spiegai che in Italia il direttore di un’università non si sarebbe mai presentato senza la giacca. Non avrebbe nemmeno mai ammesso una ragazzina senza soldi che viene qui senza firmare nessun modulo e pretende di essere un genio! Ecco, capite? Non ho potuto fare a meno di innamorarmi di quest’uomo!”
Così, Lorenza inizia a frequentare l’università, si annoia un po’ a dipingere e preferisce gironzolare nei corridoi fino a quando si trova davanti alla porta del Film Club. La spinge, entra e vede “luccicare il tesoro… ve lo immaginate? C’erano le pizze, i treppiedi, la macchina da presa, tutto lì. Ho pensato ad un’unica cosa: mi porto via tutto.”  Con l’aiuto di un amico, “un giovane pittore bellissimo”, l’attrezzatura sparisce e Lorenza inizia ad immaginare il suo primo film. Pensa a Kafka, ha la sua foto appesa in camera: un viso fragile e terrorizzato che guarda il mondo. “Lo adoravo!”, racconta, “Così propongo al mio amico di fare l’attore, anche se lui non sapeva chi fosse Kafka. ‘Ma come?! La metamorfosi…’ ‘Mmh e come finisce?’ ‘Bene, lui è disteso a letto, ci mette molto ad alzarsi, ma poi si sposa e ha un sacco di figli!’ Gli risposi”.
Una volta girato il film, Lorenza porta tutto al laboratorio dove venivano sviluppate le pellicole dell’università, firmando con un nome falso e assicurando che la Slade School of Fine Art avrebbe pagato tutto.
“Ovviamente il direttore fu avvisato della cosa, gli dissero che era passata una strana ragazza con l’accento francese. ‘Ah, il genio’, rispose lui e mi mandò a chiamare. ‘Sai cosa hai combinato? Hai firmato il falso, usato dei soldi non tuoi: questo si chiama rubare e chi ruba va in prigione!’ ‘E allora mi ci mandi!’, dissi io andandomene, ma lui mi corse dietro: ‘Senti Lorenza, non voglio mandarti in prigione ancora. Prima facciamo vedere agli studenti quello che hai fatto, se applaudono paghiamo noi, se fischiano, tu vai in prigione.’ Ecco, a questo punto io stavo davvero male, ve lo immaginate? Avrebbero fischiato di sicuro. E invece applaudirono!”
Quel giorno non furono solo gli studenti ad applaudire, ma anche il direttore del British Film Museum, “un uomo bellissimo, tipo Kennedy, tanto che mi innamorai anche di lui! Mi chiese se volessi fare altri film senza rischiare di andare in galera e di portargli un’idea. L’indomani mi presentai da lui per il tè delle 17, tirai fuori l’idea dalla tasca, ma facendolo urtai il tavolino e buttai il tè bollente sul suo ginocchio… ‘Oh, cos’ho fatto?! I’m sorry, what can I do?’, gli dissi preoccupatissima. E lui: ‘Don’t worry, my leg is wood’, e ci bussò sopra per farmi sentire il rumore del legno. Poco dopo mi raccontò di aver lasciato la sua gamba a Cassino, per me e per tutti gli italiani. A quel punto l’ho abbracciato.”

Lorenza arrivò a Londra con un bagaglio personale pesantissimo: nel 1944 aveva assistito, insieme alla gemella Paola, all’esecuzione della zia e delle cugine sotto i suoi occhi, durante la Strage di Rignano. Anche Karl Reisz aveva vissuto in prima persona la tragedia della guerra: i suoi genitori furono entrambi deportati a Buchenwald. “Nessuno sapeva dell’altro, il nostro incontro fu un incontro basate sull’arte, sull’idea di cinema che avevamo. Non potevamo più sopportare l’idea che l’Inghilterra agisse come se non ci fosse stata alcuna guerra. Il popolo non aveva voce in capitolo e per questo abbiamo deciso di fare dei film che parlavano della gente comune, dei beatles, per farli finalmente uscire dalle cantine e farli arrivare agli occhi dell’upper class inglese”.

Lorenza Mazzetti a Londra

David Grieco ricorda che la vita di Lorenza è raccontata nel libro Il cielo cade, scritto quando, dopo l’esordio londinese con il cinema, Lorenza decide di tornare in Italia. La casa che divide con il nuovo compagno Bruno Grieco, padre di Davide, si apre ai registi e agli intellettuali dell’epoca. Qui “transitava tutto il cinema europeo in modo abbastanza casuale. Secondo uno strano e tacito accordo, tutti pensavano che Lorenza sarebbe tornata dietro la macchina da presa e venivano a passare le vacanze da noi. Lindsay Anderson diventò una specie di mio zio, Malcom McDowell diventò il fratello che non avevo essendo figlio unico, e con lui feci anche dei film.”
Quella casa era un luogo di libertà senza inviti né orari, un confessionale dove si incontrava gente e nascevano progetti. “La grande attrazione della casa era il tavolo da ping pong e la gente più improbabile si sfidava: Rod Steiger arrivava a mezzanotte con le palline e si cominciava. Un altro che frequentava spesso la casa era Gianmaria Volonté, all’epoca in una situazione difficile e con molti debiti. Un giorno ci dice: ‘Sto facendo un western con quel matto di Sergio Leone. Non me ne frega niente, ma mi servono i soldi e l’unica cosa di cui sono certo è che non lo vedranno mai…’ Il film era Per un pugno di dollari! Ecco, Lorenza mi ha regalato questa adolescenza qui, con tutti i danni che sono arrivati dopo.”

A Lorenza Mezzetti quest’anno il Torino Film Festival assegna il premio Maria Adriana Prolo, mentre Francesco Frisari e Steve Della Casa stanno realizzando il documentario Perché sono un genio. Sarà pronto la primavera prossima, racconterà la vita dell’artista e il modo in cui Lorenza è riuscita ad attraversare i momenti più importanti del Novecento con la sua personalissima dose di forza e fragilità. La rivista “Mondo Niovo” diretta da Caterina Taricano ha dedicato un intero numero alla Mazzetti, la quale ha dichiarato: “Mi sembra incredibile apparire sulla copertina di una rivista. Devo dire che però un po’ me lo aspettavo, essendo un genio.”

Mazzetti premiata al TFF33

“Bambini nel tempo. L’Italia, l’infanzia e la Tv” di Maria Pia Ammirati, Roberto Faenza e Filippo Macelloni

Bambini nel tempo. L’Italia, l’infanzia e la Tv di  è un viaggio nell’infanzia del passato e del presente; protagonisti sono i bambini che, dagli anni ’50 a oggi, raccontano le loro impressioni sulla vita. Ritornano alla mente i ricordi e le emozioni dei primi anni vissuti, sensazioni che si perdono nel passaggio alla vita adulta: le filastrocche, i giochi all’aria aperta, la scuola, i primi amori, le paure e i disagi, un concentrato di emozioni in cui tutti noi ci ritroviamo.

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Si va dai primi video in bianco e nero che mostrano le scuole con le classi separate, i bambini lavoratori nel Lazio del dopoguerra, la figura del padre come capo assoluto, ai ragazzini di oggi, con i videogiochi e le famiglie divise. Loro, i bambini, rimangono sempre uguali, puri e innocenti, in balia di un’educazione imposta da adulti inadeguati, infelici e frustrati, rispetto ai quali spesso essi risultano più sensibili è più saggi proprio per la semplicità con cui guardano alla vita.

 

Il film mette a confronto epoche diverse inserendo le voci dei bambini di oggi sui filmati in bianco e nero dell’infanzia di un tempo, creando un filo conduttore tra ciò che è stato, ciò che si è perso e ciò che ancora è ricordato. Varie tematiche sono affrontate: la scuola, la famiglia, l’amore, i sogni, il gioco (per citarne alcune), e ogni tanto interviene un tenero bambino che prova ad azionare il ciak senza saper contare.

Bambini nel tempo è un documentario realizzato con il solo materiale proveniente dall’Archivio delle Teche Rai, frammenti di interviste che percorrono, con gli occhi dei bambini, le trasformazioni di un Paese di cui la televisione è stata un importante testimone.

 

Si tratta di un film, tenero, commovente, ma anche comico, che riporta alla mente la nostra infanzia e svela quella di chi è venuto prima; è uno straordinario percorso nella storia d’Italia che assume il valore di documento storico fondamentale per la memoria collettiva.

“Sunset Song” di Terence Davies – Conferenza stampa

Si è tenuta venerdì mattina la Conferenza Stampa di Sunset Song con la partecipazione del regista e sceneggiatore Terence Davies. Tratto dal romanzo Canto del tramonto (1932) di Lewis Grassic Gibbon, il film è ambientato nell’immensa e gialla campagna scozzese, dove una donna giovane, bella e intelligente, Chris Guthrie, cresce in una numerosa famiglia con un padre violento e una madre sottomessa.

Il regista racconta come si è innamorato di questa storia: nel 1971 rimase affascinato vedendo in televisione per sei domeniche gli episodi di uno sceneggiato televisivo tratto dallo stesso romanzo; poi acquistò il libro e ne rimase completamente rapito tanto da decidere di farne un film. E solo dopo 18 anni, il film è stato finalmente realizzato.

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“The Dressmaker” di Jocelyn Moorhouse

1951. Dopo quasi vent’anni, Tilly (interpretata dall’attrice premio Oscar Kate Winslet) fa ritorno a Dungatar, luogo da cui era stata allontanata quando era solo una bambina in seguito ad un tragico evento, per occuparsi della madre Molly (interpretata dall’attrice Judy Davis). Il ritorno di Tilly genera turbamento tra gli abitanti. In un piccolo paese come Dungatar, sperduto nel nulla e circondato da immensi campi di grano, tutti conoscono tutti e ovviamente tutti sanno tutto di tutti.  Con il suo fascino e la sua eleganza Tilly, talentuosa stilista,  conquista gli sguardi di molti. Primo fra tutti, il sergente Farrat (interpretato da Hugo Weaving), un uomo per bene ma con un segreto: ama le stoffe, i tessuti, gli abiti e soprattutto le piume. Anche il giovane Teddy Mcswiney (Liam Hemsworth) rimane incantato dalla bellezza della giovane donna tanto da innamorarsi di lei. Ed infine le donne del villaggio, attratte dalle sue abilità sartoriali, iniziano a commissionarle numerosi abiti. Ma un ricordo sfocato tormenta Tilly e, lungo tutto il film, ella cerca di farlo riaffiorare nella memoria.

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“Hello, My Name is Doris” di Michael Showalter

La trentatreesima edizione del Torino Film Festival si è conclusa ieri sera quando, dopo la premiazione dei film in concorso, è stato proiettato il film di chiusura nella sala del cinema Reposi: Hello, My Name is Doris, diretto da Michael Showalter e interpretato dalla grandiosa Sally Field.

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“Keeper” di Guillaume Senez

Ieri sera si è conclusa la 33° edizione del Torino Film Festival; il premio come miglior film è andato all’opera del regista belga esordiente Guillaume Senez, Keeper. Sull’ondata di programmi di successo quali 16 anni e incinta, trasmesso su MTV, il film racconta l’esperienza di una gravidanza in giovane età.

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Conferenza stampa di chiusura del TFF 2015

Si è svolta oggi la conferenza stampa di chiusura della 33° edizione del Festival, condotta dalla direttrice Emanuela Martini, con interventi di Paolo Damilano e Alberto Barbera.

Damilano si dice molto soddisfatto dell’edizione appena conclusa perché è stata coinvolta tutta la città confermando quindi il fatto che il TFF è un festival metropolitano. Stupefacente l’affluenza degli spettatori nelle sale che cresce di anno in anno, nonostante il Festival abbia luogo nel mese di Novembre, già carico di numerosi eventi. Ora l’obiettivo è quello che il Festival diventi di importanza internazionale.

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“Rino – La mia ascia di guerra” di Andrea Zambelli

Rino – La mia ascia di guerra di Andrea Zambelli, presentato nella sezione Italiana.doc del 33° Torino Film Festival, è un omaggio a un grande partigiano, un eroe che non è mai sceso a compromessi, Rino Bonalumi.

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“Terrore nello spazio” di Mario Bava – Conferenza stampa

Nicolas Winding Refn e Fulvio Lucisano si presentano nell’affollatissima sala conferenze in pompa magna; ad affiancare il giovane e allampanato regista danese e lo storico produttore italiano ci sono due ragazzi con indosso i costumi originali del film, quelli degli astronauti che, ci rivela Lucisano, non erano “poi così buoni” a detta di Mario Bava, il quale per questo motivo volle che le loro tute richiamassero le divise naziste.

Mario Bava, come è noto, non ha mai amato la qualifica di autore: si è sempre considerato un artigiano finito, per ragioni personali, a lavorare nel cinema. Ma questo, ammonisce Refn, non deve trarci in inganno: Terrore nello spazio è un capolavoro non solo nell’ambito dei generi horror e sci-fi (affiancabile ai più celebrati Blade Runner e 2001: Odissesa nello spazio), ma nell’ambito del cinema italiano in senso assoluto, alla pari dei migliori lavori di autori come Fellini e Visconti.

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Nicolas Winding Refn

Refn racconta alla stampa quali sono le origini del suo amore per Bava, nato attraverso gli schermi delle televisioni americane che ipnotizzavano per ore il piccolo Nicolas nella sua casa di New York. Sorridendo ci racconta come dovesse eludere le strette regole imposte dalla madre sull’uso della tv e come proprio la madre, con il suo background artistico e politico, ha influenzato la fascinazione del piccolo Refn per la pop art sia a livello di design, sia a livello di fashion. Questa fascinazione si rispecchia in Terrore nello spazio perché tutto ciò che si vede nel film di Bava avrebbe potuto figurare in una mostra di Andy Warhol, dalle surreali scenografie agli attillati costumi di pelle che donano una componente erotica e omoerotica alla vicenda.

 

La severa educazione materna generò inoltre in Refn una sana sete di ribellione. Se la madre era hippie e pacifista, l’adolescente Refn amava Ronald Reagan, la guerra, il cinema muscolare e violento, i film di genere che, nel ventennio precedente, era dominato dal marchio italiano. Egli non ha mai nascosto il suo amore per questo tipo di cinema che molti considerano di serie B (un altro dei suoi film preferiti è Città violenta di Sergio Sollima), ma quando gli viene chiesto se troveremo qualche riferimento ad esso nel suo prossimo film, Neon Demon, si chiude nel silenzio. Il film è ancora in fase di lavorazione, ci dice, per ora è soddisfatto, e presto ne sapremo di più.

Quello che sicuramente sappiamo è che già nei suoi film precedenti gli omaggi al cinema italiano di genere non sono mancati. Il segno più forte, sottolineato da lui stesso, è nel feticismo e nell’erotismo che caratterizza Drive, il suo film più noto. Proprio come le tute degli astronauti di Terrore nello spazio, anche la giacca del silenzioso guidatore non è altro che un sostituto della pelle nuda: un catalizzatore di erotismo. Per Nicolas Winding Refn fare cinema è proprio come fare sesso: una sperimentazione continua spinta da una passione irrefrenabile.

Cinque cortometraggi sull’amore – TFF 2015

Nella sezione del TFF denominata My Son, My Son, What Ye Have Done (dal titolo di un  film di Werner Herzog) sono stati presentati cinque cortometraggi che hanno in comune la tematica dell’amore. Tutti diversi nel modo di raccontare. Mai banali.

Il foglio di Silvia Belotti
Fino dall’alba in via Oberdan a Napoli molte persone scrivono il proprio nome su un foglio attaccato al muro della sede delle Agenzia delle Entrate, necessario per dare ordine alla fila interminabile di coloro che si recano in questo ufficio. Il foglio separa la società (esterna) dalla burocrazia (interna) degli uffici. Tra litigi e riflessioni, tra chi aspetta il suo turno, la macchina da presa riprende quanto avviene con taglio giornalistico tralasciando qualsiasi intento narrativo.

Il suo nome di Pedro Lino
Una carrellata inquadra un muro a secco che sembra interminabile, poi un anziano che cammina a fatica tra i campi. Qua e là qualche pecora. Inquadrature fisse e movimenti lenti scandiscono questo ritratto-intervista di un anziano che vive da solo in campagna dal 1966. Scopriamo la sua vita dalle sue parole e dalla sue fotografie: la gioventù, il servizio militare, la sorella, i suoi tentativi di sposarsi con una donna di cui non ricorda il nome. Tutto è conservato, compresa la Lancia Prisma che non ha mai guidato, come in un museo della memoria. Il vecchio racconta la propria vita senza rimpianti, con parole e gesti molto spontanei.

Il dossier di Mari S. di Olivia Molnar
Olivia Molnar ci racconta, nel suo primo cortometraggio, la storia di sua zia Mari attraverso inquadrature fisse di foto e libri e brevi filmati. Mari S., ungherese, vive la controrivoluzione del suo Paese negli anni Cinquanta e fugge a Genova. La sua vita dal 1953 al 1989 è documentata attentamente dai Munka Dossziè, i rapporti stilati da due incaricati dei servizi segreti che Olivia recupera nel 2014 tramite l’Archivio di Stato. Gli anni successivi sono ricostruiti dalla regista per non permettere che tutto venga cancellato dall’Alzhaimer di Mari.

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Neuf cordes di Ugo Arsac
La lira di Orfeo aveva nove corde. I primi musicisti furono gli dei. Orfeo fu colui che riuscì ad incantare anche loro con la sua musica. Il mito di Orfeo, che torna dagli inferi senza Euridice, si intreccia a storie di rivoluzione in Ucraina attraverso le opere di due scultori. Il trait d’union tra Orfeo e l’Ucraina è il marmo di Carrara: l’inferno può essere anche bianco. Una fotografia meravigliosa ci guida all’interno di paesaggi suggestivi, con immagini molto contrastate cromaticamente. Denuncia e poesia, disagio e arte, viaggio interiore del protagonista e dello spettatore si mescolano in un’opera prima matura e lirica, scritta, diretta e prodotta dal giovane regista francese.

 

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Scherzo di Fabio Scacchioli e Vincenzo Core
Il secondo movimento della Nona di Beethoven accompagna un pout-pourri di immagini che si susseguono rapide: il mare, i viaggi nello spazio, spezzoni di film hollywoodiani e documentari si muovono insieme alla musica, alle voci, agli applausi in sottofondo in un viaggio surreale, divertente, in un percorso che sale e scende, che si avvicina e si allontana. Il cortometraggio celebra la magia del cinema: nessuna storia, ma uno sfiziosissimo e sapiente montaggio.

“Hamlet” di Lyndsay Turner

 

Lo scorso 15 ottobre il National Theatre di Londra, consolidando una tradizione iniziata nel 2009, ha trasmesso in streaming la diretta della rappresentazione di Amleto con regia di Lyndsey Turner (produzione di Sonia Friedman) superando ogni suo record: 225.000 spettatori, 1.400 schermi in 25 paesi live e/o in lieve differita.  In Italia uscirà nelle sale il 19 e 20 aprile 2016, in occasione dell’anniversario della morte del drammaturgo inglese.
Ieri sera Hamlet è stato presentato da Emanuela Martini al Torino Film Festival: pochi posti liberi al Reposi e tantissimi giovani che si sono lasciati attrarre dalla storia immortale del principe danese.

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“Bambini nel tempo. L’italia, l’infanzia e la Tv” di Roberto Faenza e Filippo Macelloni- Conferenza Stampa

Bambini nel tempo. L’Italia, l’infanzia e la Tv è un documentario prodotto da Rai Teche e Rai Cinema con la regia di Roberto Faenza e Filippo Macelloni, da un’idea della Direttrice delle Teche Rai Maria Pia Ammirati.

 

“Testimonianze preziose, momenti catturati e conservati negli archivi delle Teche Rai, tasselli di un grande mosaico che si compone strada facendo, raccontando i mutamenti dell’Italia, dagli anni ’50 a oggi, da un punto di vista sorprendente, preciso e leggero: quello dei bambini.” Così viene presentato il film: attraverso un lungo e complicato lavoro di ricerca e di digitalizzazione all’interno degli Archivi delle Teche Rai, sono state selezionate testimonianze di un’Italia che cambia attraverso gli occhi dei bambini.

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“Ya tayr el tayer” (“The Idol”) di Hany Abu-Assad – Conferenza Stampa

“Ero completamente assorto nello schermo, nella piazza di Nazareth, insieme ad altre migliaia di persone e attendevamo il verdetto finale di Arab Idol; nel momento della vittoria ho saltato e ho esultato come un bambino.” (Hany Abu-Assad)

Ieri mattina in sala Conferenze stampa erano presenti Hany Abu-Assad e Amira Diab, regista e produttrice di “Ya tayr el tayer” (“The Idol“), film che racconta l’incredibile storia di Mohammad Assaf, vincitore del talent “Arab Idol” nel 2013. Il regista ci svela fin da subito di aver cambiato alcuni particolari della vita del ragazzo, ad esempio sua sorella maggiore morì da piccola a causa di un problema cardiaco, mentre nel film muore per un’insufficienza renale: scelta che sembrava visivamente più interessante.

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Tavola rotonda “Cose che verranno”

Torino, 26 novembre 2015 – Si è tenuta oggi al Campus Luigi Einaudi una tavola rotonda intitolata “Cose che verranno” e dedicata al cinema di fantascienza. Relatori sono stati Emanuela Martini, Riccardo Fassone, Andrea Fornasiero, Emiliano Morreale, F

Gli onori di casa sono stati affidati alla direttrice del Torino Film Festival Emanuela Martini, la quale ha illustrato i diversi temi del dibattito e spiegato le motivazioni con cui sono stati scelti i film inseriti nella retrospettiva del cinema di fantascienza in corso al Festival, intitolata “Cose che verranno”.

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“The Forbidden Room” di Gay Maddin e Evan Johnson

Protagonisti della sezione After hours sono senza dubbio Gay Maddin e Evan Johnson con il meraviglioso The Forbidden Room, un film che sciocca e lascia a bocca aperta se si pensa a quanta maestria c’è in quest’opera così fuori dagli schemi.

The Forbidden Room è un omaggio al cinema degli anni ’20 e ’30.  perché Maddin ha imitato i film del muto e dei primi anni del sonoro con atmosfere espressioniste in chiave post-moderna.

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Il magazine delle studentesse e degli studenti del Dams/Cam di Torino