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“PETITE FILLE” DI SÉBASTIEN LIFSHITZ

Presentato alla Berlinale 2020, l’ultimo film di Sébastien Lifshitz arriva finalmente in Italia al 36° Lovers Film Festival, proiettato come Evento Speciale fuori concorso.

Petite Fille è la storia di Sasha, una bambina di otto anni che non si riconosce nel proprio corpo maschile e che deve fare i conti con un mondo ostile alla sua diversità. Al centro del conflitto (e del documentario) il legame con la famiglia, che tra lei e la società fa da intermediaria e “scudo affettivo”, secondo le parole del regista. È in particolare la madre Karine a farsi carico di aiutarla, di farla comprendere e difenderla dalle maestre e dal preside, contrari a riconoscere Sasha in quanto femmina.

Lo stesso ruolo di mediatore viene adottato da Lifshitz, che sceglie di sacrificare una prospettiva imparziale ed esaustiva e lasciare l’opposizione fuori-campo, dando spazio e voce a chi in genere sta ai margini. In questa lotta lunga un anno il contrasto non è mai esplicito ma trapela dalle parole di Karine e dal volto della bambina, dalle sue microespressioni timide e inequivocabili, messe in luce dai frequenti primi piani. La macchina da presa diviene così per lei “un terzo genitore”, che le si accosta senza forzarla e mettendosi alla sua altezza, in amorosa e paziente attesa.

Opposto ma complementare a Petite Fille è un altro film recente, Bad Luck Banging or Loony Porn: anch’esso è incentrato sulla violenza delle convenzioni di genere, che similmente si manifestano in ambito scolastico (qui il casus belli è la pubblicazione di un video porno che minaccia il posto di lavoro dell’insegnante Emi).

Ma là dove Lifshitz sceglie linearità e lirismo, accompagnando il percorso di Sasha con la musica sacra di Vivaldi e la Rêverie di Debussy, il film di Radu Jude gioca al contrario sull’urto e aggredisce lo spettatore tramite stile e contenuti, sfociando in una scontro tra protagonista e scuola nel primo volutamente assente.

La conclusione è in entrambi casi amara: Emi può ottenere giustizia solo con l’intrusione nel film del genere Superhero, così come Sasha può danzare in abiti femminili (non da Wonder Woman, ma con ali di farfalla) solo confinata del proprio giardino. Nella speranza che crescendo i confini (di casa, di genere) divengano superflui.

“BAD LUCK BANGING OR LOONY PORN”DI RADU JUDE, ORSO D’ORO ALLA 71^ BERLINALE

First reaction? Shock.

Che siate cinefili accaniti, professionisti del settore o spettatori curiosi (e benché viviate nel 21esimo secolo), resterete increduli di fronte a questo film a partire dal suo incipit. Per quanto il mondo contemporaneo ci abbia abituato a ogni tipo di contenuto video, a fare la differenza è sempre il veicolo con cui quell’immagine ci arriva. Paradossalmente nel cinema è stato ripristinato uno sguardo cauto e morigerato allo scopo di ottimizzare le vendite. Bad Luck Banging or Loony Porn si prende gioco apertamente della pulizia del cinema popolare (il suo sottotitolo è proprio questo) e mescola la brutalità dell’home movie e del documentario con una rappresentazione finzionale che lavora sull’esasperazione dei meccanismi del linguaggio filmico.

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