Archivi tag: Gastone Moschin

BACK TO LIFE: THE RETURN OF ITALIAN POLAR

Article by: Davide Troncossi

Translated by: Maria Bellantoni

TFF40’s Back to life section dedicated to film restoration proposed a diptych of particular interest on Italian polar, restoring two of its rare gems to their original splendour. Made at a distance of time and with different characteristics, the two films are united by the cold reception they received from critics and audiences at the time of their release and then rose to cult movie status.

Read all: BACK TO LIFE: THE RETURN OF ITALIAN POLAR

Milano calibro 9 (1972) today represents not only the pinnacle of Fernando Di Leo’s career, but also the only Italian polar film of the period able to hold its own against the vaunted American and European crime films (between 1970 and 1972, masterpieces such as Friedkin’s The French Connection, Melville’s Le Cercle Rouge and Hodges’ Carter were released). And we would be talking about perfection if it were not for the Manichaeism of some scenes between the commissioner (Wolff) and his deputy (Pistilli) imbued with cheap socio-political rhetoric.

The restoration presented by the Centro Sperimentale di Cinematografia – Cineteca Nazionale has the great merit of restoring the overlays of the hours and days wanted by the director for the cyclical development of the plot (the title that was originally chosen was “Da lunedì a lunedì“) and of restoring the right visual and sound polish to the events of Rocco (Adorf), Nelly (Bouchet) and, above all, Ugo Piazza (a granitic Moschin), the victim, or diabolical architect, of a violent redde rationem in the organised underworld of Milan (this will become clear in the finale with a splendid triple act). The digital copy enhances the masterful direction aimed at dictating the tight rhythm (Di Leo himself, without modesty, stated “no one in Europe, apart from Melville, had the grit of an American cut that I had”) and the faithfulness of the screenplay to Scerbanenco’s anthology of hard-boiled tales from which it is based.

The picture of the acknowledged progenitor of the Italian-style detective film is completed by the neo-realist setting in which a gallery of extraordinary pulp characters act (Tarantino, by his own admission, will draw on this with full force), the pressing music by Bacalov and Osanna, and the creeping underlying determinism.

Nevertheless, one has to shift to Turin thirty years later for the other submerged and ‘cursed’ neo-noir.

Tre punto sei (2003), the debut and only feature film by the late Nicola Rondolino (son of the well-known film critic and historian Gianni), due to a series of production and distribution issues, it required a delicate recovery operation by Cinecittà, the National Cinema Museum of Turin and Augustus Color, who aimed at overcoming the obstacle of the absence of an original negative.

A versatile and much-loved figure in his hometown, who died prematurely in 2013, Rondolino immediately demonstrated an uncommon talent in his debut picture (but only few noticed it), bending genre clichés into a narrative that is not ordinary thanks to a contemporary style composed of dizzying ellipses, telluric action scenes and meaningful dramaturgical moments of clashes between the different characters. The vivid coherence of the multi-ethnic criminal imagery set in the Turin neighbourhood of San Salvario strikes a chord, avoiding the traps of the most retrograde racial prejudices, while the intense Binasco stands out in the role of the corrupt policeman madly in love with the woman contended by his best friend (a darker-than-ever Giallini), a disillusioned gangster in the service of a sui generis drug clan (an interesting experiment in quotations from The Sopranos).

The rediscovery of Tre punto sei is therefore a necessary step in the 40th anniversary of the festival that saw Rondolino as selector for a long time, regretting what he could have given to our cinema.

BACK TO LIFE: IL RITORNO DEL POLAR ITALIANO

La sezione Back to life del TFF40 dedicata al restauro cinematografico ha proposto un dittico di particolare interesse sul polar italiano, riportando allo splendore originario due dei suoi rari gioielli. Realizzati a distanza di tempo e con differenti caratteristiche si sono ritrovati accomunati per la fredda accoglienza ricevuta da critica e pubblico al momento della loro uscita in sala per poi assurgere allo stato di cult movies.

Leggi tutto: BACK TO LIFE: IL RITORNO DEL POLAR ITALIANO

Milano calibro 9 (1972) oggi non rappresenta più solo il vertice della carriera di Fernando Di Leo, ma anche l’unico polar italiano del periodo in grado di reggere il confronto con i decantati polizieschi americani ed europei (tra il 1970 e il 1972 uscirono capolavori come The French Connection di Friedkin, Le Cercle Rouge di Melville e Carter di Hodges). E di perfezione parleremmo se non fosse stato purtroppo per il manicheismo di alcune scene fra il commissario (Wolff) e il suo vice (Pistilli) imbevute di dozzinale retorica socio-politica.

Il restauro presentato dal Centro Sperimentale di Cinematografia-Cineteca Nazionale ha il grande merito di ripristinare le sovrimpressioni delle ore e dei giorni volute dal regista per lo sviluppo ciclico della trama (“Da lunedì a lunedì” era in origine il titolo scelto) e di ridonare il giusto smalto visivo e sonoro alle vicende di Rocco (Adorf), Nelly (Bouchet) e soprattutto di Ugo Piazza (un granitico Moschin) vittima o diabolico artefice di un violentissimo redde rationem nella malavita organizzata milanese (lo si capirà nel finale con una splendida triplice agnizione). La copia digitale esalta la magistrale regia tesa a dettare il ritmo serrato (lo stesso Di Leo, senza modestia, affermava «nessuno, in Europa, a parte Melville, aveva la grinta di taglio americano che avevo io») e la fedeltà della sceneggiatura all’antologia di racconti hard boiled di Scerbanenco da cui è tratto.

Completano il quadro del riconosciuto capostipite del poliziottesco all’italiana l’ambientazione neorealista in cui agisce una galleria di straordinari personaggi pulp (Tarantino per sua ammissione attingerà a piene mani), le incalzanti musiche di Bacalov e degli Osanna e lo strisciante determinismo di fondo.

Bisogna spostarsi invece a Torino trent’anni dopo per l’altro neo-noir sommerso e “maledetto”.

Tre punto sei (2003), esordio e unico lungometraggio del compianto Nicola Rondolino (figlio d’arte del noto critico e storico del cinema Gianni), per una serie di problematiche produttive e distributive ha richiesto un delicato intervento di recupero curato da Cinecittà, Museo Nazionale del Cinema di Torino e Augustus Color, diretto a superare lo scoglio dell’assenza di un negativo originale.

Figura versatile e molto amata nella sua città, prematuramente scomparso nel 2013, Rondolino dimostrò subito in quest’opera prima un talento non comune (furono in pochi ad accorgersene) piegando i cliché del genere in una narrazione mai banale grazie a uno stile contemporaneo composto da vertiginose ellissi, scene d’azione telluriche e pregnanti momenti drammaturgici di scontro fra i vari personaggi. La vivida coerenza dell’immaginario criminale multietnico calato nel quartiere torinese di San Salvario colpisce nel segno evitando le trappole dei più retrivi pregiudizi razziali, mentre è l’intenso Binasco a spiccare nel ruolo del poliziotto corrotto follemente innamorato della donna contesa dal suo miglior amico (un Giallini più cupo che mai) disilluso malavitoso al servizio di un clan della droga sui generis (gustoso l’esperimento citazionista da I Soprano).

Doverosa quindi la riscoperta di Tre punto sei nel quarantennale del festival che vide a lungo Rondolino come selezionatore nutrendo il rimpianto per ciò che avrebbe potuto dare al nostro cinema.

Davide Troncossi