Tutti gli articoli di Davide Troncossi

MALCOLM MCDOWELL PREMIATO A TORINO

Omaggiato dal 40° Torino Film Festival con una retrospettiva e insignito ieri del premio Stella della Mole, Malcolm McDowell è da oltre mezzo secolo uno degli attori inglesi più noti al mondo, in particolare per l’indimenticabile interpretazione del sadico e violento Alex De Large in Arancia Meccanica di Stanley Kubrick (1971).

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Arduo parlare di una figura così popolare ma atipica senza ripetere quanto già scritto su di lui in questi decenni. McDowell non è mai stato una star canonicamente intesa e nemmeno il beniamino di una specifica stagione o corrente cinematografica, eppure ha saputo attraversare nell’arco della sua prolifica carriera svariate narrazioni in contesti europei e oltreoceano, guidato spesso da grandissimi autori.

Dopo essersi fatto le ossa a teatro, esordisce nel 1968, subito protagonista, in una delle ultime vette del Free Cinema britannico e Palma d’oro a Cannes, Se… di Lindsay Anderson (e con questo regista riproporrà il personaggio di Mick Travis in una sorta di ciclo truffautiano nei successivi O Lucky Man! del 1973, e Britannia Hospital del 1982). Dopo l’ingiustamente dimenticato Caccia sadica (1970) distopia en plein air diretta da Joseph Losey, Kubrick non ha alcuna esitazione nel chiamarlo: l’ineffabile sguardo teneramente infantile capace di trasformarsi con il solo accenno di un sorriso in un ghigno perverso era infatti davvero unico e terrorizzante, e incarnava l’essenza stessa del giovanissimo criminale uscito dalla penna di Anthony Burgess.

Raggiunto il suo posto nel pantheon della settima arte (non senza coraggiosi sacrifici – basti ricordare le serie lesioni corneali subite durante le infinite riprese della celeberrima “cura Ludovico”), l’immagine di McDowell è stata segnata nel bene e nel male da quei folgoranti inizi, non riuscendo a dar seguito a quella prima felice stagione. Rimettendosi però in gioco con caparbietà a partire dagli anni ’80 ha saputo avviare una prolifica seconda vita professionale ritagliandosi uno spazio in cui esprimere la propria versatilità, spesso in ruoli secondari, ma lasciando sempre un’impronta personale aldilà degli effettivi meriti dei film.

Ricordiamo Il bacio della pantera di Paul Schrader (1982), L’assassino dello Zar di Karen Shakhnazarov (1991), Gangster nº 1 di Paul McGuigan (2000), Evilenko di David Grieco (2004), un paio di Altman e il gustoso one man show di Mike Kaplan Never Apologies (2007) per ricordare alla sua maniera l’amico/mentore Anderson. E questa abilità di performer l’abbiamo gustata durante il festival, in una masterclass ricca di aneddoti e battute brillanti e, ancora, nelle argute presentazioni dei film proposti, dimostrando una verve (79 anni portati splendidamente), il carisma e al contempo l’affabilità del divo in grado di coinvolgere anche il pubblico dei più giovani.

Il premio torinese contribuisce a colmare la lacuna dei davvero troppo pochi riconoscimenti assegnati dal mondo del cinema a McDowell (snobbato da Oscar e Bafta, una sola nomination ai Golden Globe, un European Film Awards speciale, un Nastro d’Argento speciale), mentre l’incontrarlo dal vivo ci ha permesso una volta per tutte di scacciare l’aurea malvagia che circonda il suo doppio cinematografico: Malcolm non è mai stato Alex.

Davide Troncossi

BACK TO LIFE: IL RITORNO DEL POLAR ITALIANO

La sezione Back to life del TFF40 dedicata al restauro cinematografico ha proposto un dittico di particolare interesse sul polar italiano, riportando allo splendore originario due dei suoi rari gioielli. Realizzati a distanza di tempo e con differenti caratteristiche si sono ritrovati accomunati per la fredda accoglienza ricevuta da critica e pubblico al momento della loro uscita in sala per poi assurgere allo stato di cult movies.

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Milano calibro 9 (1972) oggi non rappresenta più solo il vertice della carriera di Fernando Di Leo, ma anche l’unico polar italiano del periodo in grado di reggere il confronto con i decantati polizieschi americani ed europei (tra il 1970 e il 1972 uscirono capolavori come The French Connection di Friedkin, Le Cercle Rouge di Melville e Carter di Hodges). E di perfezione parleremmo se non fosse stato purtroppo per il manicheismo di alcune scene fra il commissario (Wolff) e il suo vice (Pistilli) imbevute di dozzinale retorica socio-politica.

Il restauro presentato dal Centro Sperimentale di Cinematografia-Cineteca Nazionale ha il grande merito di ripristinare le sovrimpressioni delle ore e dei giorni volute dal regista per lo sviluppo ciclico della trama (“Da lunedì a lunedì” era in origine il titolo scelto) e di ridonare il giusto smalto visivo e sonoro alle vicende di Rocco (Adorf), Nelly (Bouchet) e soprattutto di Ugo Piazza (un granitico Moschin) vittima o diabolico artefice di un violentissimo redde rationem nella malavita organizzata milanese (lo si capirà nel finale con una splendida triplice agnizione). La copia digitale esalta la magistrale regia tesa a dettare il ritmo serrato (lo stesso Di Leo, senza modestia, affermava «nessuno, in Europa, a parte Melville, aveva la grinta di taglio americano che avevo io») e la fedeltà della sceneggiatura all’antologia di racconti hard boiled di Scerbanenco da cui è tratto.

Completano il quadro del riconosciuto capostipite del poliziottesco all’italiana l’ambientazione neorealista in cui agisce una galleria di straordinari personaggi pulp (Tarantino per sua ammissione attingerà a piene mani), le incalzanti musiche di Bacalov e degli Osanna e lo strisciante determinismo di fondo.

Bisogna spostarsi invece a Torino trent’anni dopo per l’altro neo-noir sommerso e “maledetto”.

Tre punto sei (2003), esordio e unico lungometraggio del compianto Nicola Rondolino (figlio d’arte del noto critico e storico del cinema Gianni), per una serie di problematiche produttive e distributive ha richiesto un delicato intervento di recupero curato da Cinecittà, Museo Nazionale del Cinema di Torino e Augustus Color, diretto a superare lo scoglio dell’assenza di un negativo originale.

Figura versatile e molto amata nella sua città, prematuramente scomparso nel 2013, Rondolino dimostrò subito in quest’opera prima un talento non comune (furono in pochi ad accorgersene) piegando i cliché del genere in una narrazione mai banale grazie a uno stile contemporaneo composto da vertiginose ellissi, scene d’azione telluriche e pregnanti momenti drammaturgici di scontro fra i vari personaggi. La vivida coerenza dell’immaginario criminale multietnico calato nel quartiere torinese di San Salvario colpisce nel segno evitando le trappole dei più retrivi pregiudizi razziali, mentre è l’intenso Binasco a spiccare nel ruolo del poliziotto corrotto follemente innamorato della donna contesa dal suo miglior amico (un Giallini più cupo che mai) disilluso malavitoso al servizio di un clan della droga sui generis (gustoso l’esperimento citazionista da I Soprano).

Doverosa quindi la riscoperta di Tre punto sei nel quarantennale del festival che vide a lungo Rondolino come selezionatore nutrendo il rimpianto per ciò che avrebbe potuto dare al nostro cinema.

Davide Troncossi

TORINO FILM FESTIVAL. LA 40ma EDIZIONE

Con la presentazione alla stampa della Casa Torino Film Festival si è conclusa la fase di avvicinamento al TFF40 che aprirà (proiezioni, eventi, masterclass) il 25 novembre con la cerimonia di apertura al Teatro Regio di Torino, per la prima volta anche in diretta radiofonica all’interno di Hollywood Party su Rai Radio3, dedicata a “un racconto per musica e immagini sul rapporto tra i Beatles, i Rolling Stones e il cinema”. 

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