Archivi tag: parlate a bassa voce

“PARLATE A BASSA VOCE” BY ESMERALDA CALABRIA

Translated by: Benedetta Francesca De Rossi

Article by: Alessandro Pomati

Albania, 1985. After 40 years of indiscriminate exercise of power, the dictator Enver Hoxa died, creating a still unbridgeable void in Albanian politics. Under his leadership, the country experienced some of the darkest pages of its history, and the repression was followed by a diaspora of anything but modest dimensions, with Italy as one of its points of reference in many cases. Redi Hasa, a professional cellist who has been active in Italy for many years, was one of the protagonists of that diaspora and, through his speeches, the consequences of those forty years on the individual and the community are analysed.

Read more: “PARLATE A BASSA VOCE” BY ESMERALDA CALABRIA

And it is he whom Esmeralda Calabria – editor, among others, of Nanni Moretti and Giuseppe Piccioni -, in her first attempt behind the camera, uses as a “cicerone” for her story, rejecting the convention of so much cinema of the real of having only one narrator and choosing instead to make him converse, in front of the camera, with friends and relatives who have experienced what he experienced.  In front of the camera, therefore, anecdotes and considerations are made between the participants, thus making the narration fluent and colloquial, and avoiding any didacticism; art, politics, ideals and identity are discussed with respect to what one is and what one wants to become.

But before looking forward, Calabria seems to want to say, one must necessarily look back, and thus return to the ‘scene of the crime’, Albania, where among the still standing vestiges of that infamous past, the wounds are still open, and one continues to wonder, even when nothing wrong has been done, if more could not have been done; all the while, as some of those interviewed recall, none of the real perpetrators has ever apologised for the atrocities perpetrated. “That was not communism,” says one former theatre actress interviewed, “it was dictatorship pure and simple“. And it is precisely the films featuring the leaders of that dictatorship that become the privileged material for Calabria who, with a thirty-year career in post-production, succeeds in making unprecedented, almost expressionist use of them: projecting them now on the wall of a cave, now on a brick wall, the director effectively evokes that climate of closure and terror from which Hasa (who, born in 1977, knew the period of instability following the fall of the regime better than the regime itself) escaped, and like him thousands of others.

Yet, even after landing and making a career in Italy, the guilt remains: guilt for having fled, guilt for not having done enough for his country in perpetual political crisis, guilt for having left his parents; and a feeling of perpetual statelessness persists. Only a direct confrontation with his homeland, strengthened by what he has learnt on the other side of that wall, as happens in the powerful finale, can put things back on an even keel.

“PARLATE A BASSA VOCE” DI ESMERALDA CALABRIA

Albania, 1985. Dopo 40 anni di esercizio indiscriminato del potere, il dittatore Enver Hoxa muore, creando un vuoto tutt’ora incolmabile nella politica albanese. Sotto la sua guida, il Paese ha conosciuto alcune delle pagine più cupe della sua storia, e alla repressione ha fatto seguito una diaspora di dimensioni tutt’altro che modeste, che ha visto in molti casi come uno dei suoi punti di riferimento l’Italia. Redi Hasa, violoncellista professionista attivo da molti anni in Italia, è stato uno dei protagonisti di quella diaspora e, attraverso i suoi interventi, vengono analizzate le conseguenze di quei quarant’anni sul singolo individuo e sulla comunità.

Leggi tutto: “PARLATE A BASSA VOCE” DI ESMERALDA CALABRIA

Ed è proprio lui che Esmeralda Calabria – montatrice, tra gli altri, di Nanni Moretti e Giuseppe Piccioni –, alla sua prima prova dietro la macchina da presa, utilizza come “cicerone” per il suo racconto, rifiutando la convenzione di tanto cinema del reale di avere un solo narratore e scegliendo invece di farlo conversare, davanti alla macchina da presa, con amici e parenti che hanno vissuto quello che lui ha vissuto.  Davanti all’obiettivo si procede dunque per aneddoti e considerazioni tra i convenuti, rendendo in questo modo la narrazione scorrevole e colloquiale, ed evitando qualsiasi didatticismo; si discorre di arte, di politica, di ideali e di identità rispetto a ciò che si è e ciò che si vuole diventare.

Ma prima di guardare avanti, sembra voler dire Calabria, bisogna necessariamente guardarsi indietro, e dunque tornare sul “luogo del delitto”, l’Albania, dove tra le vestigia ancora in piedi di quell’infame passato, le ferite sono ancora aperte, e ci si continua a domandare, anche quando non si è fatto nulla di male, se non si sarebbe potuto fare di più; il tutto mentre, come ricordano alcuni degli intervistati, nessuno dei veri responsabili si è mai scusato delle atrocità perpetrate. “Quello non era comunismo”, afferma una ex attrice teatrale intervistata, “era dittatura pura e semplice”. E proprio i filmati che vedono protagonisti i capi di quella dittatura diventano il materiale privilegiato per Calabria che, forte di una carriera trentennale nella post-produzione, riesce a farne un uso inedito, quasi espressionista: proiettandoli ora sulla parete di una caverna, ora su un muro di mattoni, la regista rievoca con efficacia quel clima di chiusura e terrore da cui Hasa (che, nato nel 1977, ha conosciuto meglio il periodo di instabilità successivo alla caduta del regime che non il regime stesso) si è divincolato, e come lui migliaia di altri.

Eppure, anche dopo essere approdato e aver fatto carriera in Italia, il senso di colpa rimane: colpa per essere scappato, colpa per non aver fatto abbastanza per il suo Paese in perenne crisi politica, colpa per aver lasciato i genitori; e persiste un sentimento di perenne apolidia. Solo il confronto diretto con la terra natìa forte di ciò che ha imparato al di là di quel muro, come avviene nel potente finale, potrà rimettere le cose in equilibrio.

Alessandro Pomati