“La felicità è un sistema complesso” di Gianni Zanasi

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Enrico Giusti fa un lavoro utile: avvicina incompetenti dirigenti d’azienda, li ascolta, ne diventa amico, e infine li convince a cedergli l’azienda che non sono in grado di dirigere. La sua bravura consiste nel far credere che sia stata una loro idea. È il migliore nel suo campo, ma un senso di colpa lo perseguita: saranno davvero tutti cavallette?

Gianni Zanasi approda al Torino Film Festival dopo una lunga parabola di successi – tra cui Nella mischia (1995), Fuori di me (1999), Non pensarci (2007) – che lo vedono protagonista dei maggiori festival europei, da Cannes a Venezia. Pertanto La felicità è un sistema complesso è uno dei titoli più attesi di questa edizione del TFF, grazie anche ad un cast d’eccezione tra cui spiccano Valerio Mastandrea e Giuseppe Battison.

La felicità è un sistema complesso sembra partire dal presupposto che la realizzazione personale, e di conseguenza la felicità, in un imprecisato passato si potevano ottenere attraverso l’imprenditoria, mentre al giorno d’oggi tutto è molto più complicato in quanto sono cambiate le esigenze del mercato. Infatti vediamo all’inizio una serie di dirigenti i quali, insoddisfatti della loro vita di businessmen, decidono di partire alla volta di mete esotiche dopo aver lasciato il loro lavoro grazie ad Enrico. Questi ha fatto il suo dovere e si consola con la consapevolezza di aver salvato dei posti di lavoro, di essere quindi una specie di salvatore del ventunesimo secolo.

Ma la situazione cambia quando si imbatte in Filippo (18 anni) e Camilla (13 anni), orfani da pochi giorni dei coniugi Lievi, importanti imprenditori a livello mondiale. All’apparenza un caso semplice, perché si sa che le menti giovani sono più suggestionabili, ma si nasconde un ostacolo imprevisto: per quanto inesperti di pratiche economiche, i due ragazzi vogliono seguire le orme dei genitori dando importanza al dipende e non solo al profitto.

Ed ecco che il nuovo film di Zanasi ci rivela l’arcano dell’attuale crisi economica: il problema non sono le nuove esigenze bensì la nuova classe dirigente. In un finale aperto, a metà tra il mistico e in visionario, vediamo Filippo e i suoi amici percorrere con lo skateboard una galleria che termina in un ‘abbagliante luce simbolo di un futuro incerto, ma non per questo poco luminoso. Tuttavia non sapremo mai se uno studente di filosofia sarà in grado di dirigere una multinazionale finché non saremo pronti a scommettere sul cavallo dato perdente.

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