“LA PALISIADA” DI PHILIP SOTNYCHENKO

La storia è sempre scritta dai vincitori, da chi arriva primo, da chi ha la medaglia al collo e il volto ritratto sulle prime pagine dei giornali. La voce dello sconfitto al contempo sfuma, si scioglie come neve sotto i raggi del mezzogiorno, così abili a sciogliere quelle parole prima tanto robuste. La Palisiada si presenta come il coraggioso tentativo di restituire l’altro volto della verità, quello scritto dai perdenti, calpestato dai notiziari, fastidioso per coloro che esercitano il potere. Il problema, però, resta sempre lo stesso. Ad un certo punto bisogna fare i conti con la realtà.

L’esordio al lungometraggio di Philip Sotnychenko, già vincitore del premio FIPRESCI al festival di Rotterdam, viene presentato in concorso alla 41° edizione del Torino Film Festival e si erge come il testimone che la storia non è univoca. Per dare voce alla propria tesi, La Palisiada, porta in scena il processo all’ultima delle esecuzioni autorizzate dallo Stato antecedenti la moratoria sulla pena capitale, entrata in vigore nell’agosto del ’96. Decide di farlo seguendo le orme dello psichiatra forense Oleksandr (Andrii Zhurba) e dell’amico detective Ilhar (Novruz Hikmet), intenti a dare un volto all’assassino di un colonnello di polizia. In questo caso, però, non importa che si tratti della persona corretta; ciò che conta davvero è trovare una vittima sacrificale.

Con La Palisada Sotnychenko costruisce un noir cruento, sporco, spietato, dove le favole non riescono a ritagliarsi il giusto spazio, dove i genitori non allevano necessariamente mostri, ma costringono i propri figli a farsi carico dell’eredità della loro mostruosità. L’aria che si respira è post-apocalittica: il passato continua perpetrarsi nel presente e le angeliche voci dei cori dei bambini non sono sufficienti per dimenticare che, parte dei propri canti, è stata scritta da altri. Il tempo in La Palisiada sembra essersi fermato. L’Ucraina che Sotnychenko decide di portare sullo schermo ha ancora il volto del colonizzato, quello di chi non riesce a liberarsi dei propri scheletri nell’armadio e di chi abbandona nella paura la voglia di cambiare le cose. E intanto le armi aumentano, bisogna prepararsi a una lunga notte: nell’aria si percepisce che qualche colpo possa essere esploso. I letterati russi in tal caso sono sempre stati eloquenti: “Se in un romanzo compare una pistola, bisogna che spari”.

Francesco Ghio

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