“GRACE” DI ILYA POVOLOTSKY

L’ombra colossale delle pale eoliche incombe a intermittenza sul viso di Maria Lukyanova, protagonista di Grace, quasi a richiamare la rabbia centrifuga da cui è investita. Chiude le palpebre e immagina una via di fuga dal van in cui vive da quando ha memoria e dove il padre, Gela Chitava, ha riposto le sue ultime speranze. Una dimora con cui padre e figlia attraversano le province remote della Russia, proiettando vecchie pellicole nei villaggi in cui internet non ha ancora preso il sopravvento.  L’evasione dal padre e di conseguenza dalla vita da nomade – o meglio, da «viaggiatori», come sottolinea il genitore – per la protagonista si materializza nel mare, che può solo sognare attraverso le immagini di nuotatrici in un vecchio televisore e le attrazioni plastiche di un parco acquatico all’interno di un centro commerciale.

«Un paradosso, no? Conoscere il futuro lo rende inevitabile» asserisce il padre in uno dei rari dialoghi con la figlia. Esatto, un paradosso, che inghiottisce la narrazione di Grace, dal principio decifrata e fatalista, e la ricerca di allontanamento da parte della figlia e che diventa un pretesto per Ilya Povolotsky: l’opportunità di contemplare una Russia lontana dall’immaginario comune del presente. Una Russia non inedita, che riprende l’estetica di Andrej Tarkovskij, ma che mostra la scalfittura mai rimarginata di quel lontano dicembre 1991, che in fondo è il punto di scontro transgenerazionale tra padre e figlia. Le immagini di Ilya Povolotsky e Nikolay Zheludovich (direttore della fotografia) sono incisive nel catturare con lunghi movimenti e zoom i paesaggi tristi e desolanti, in cui padre e figlia si confondono, nella traversata transcaucasica fino alla Tundra del Mare di Barents.

Un’iconografia della Russia che arriva come la traduzione del momento prima dello spiacevole schianto, narrata attraverso un racconto fatto di capricci tra padre e figlia – non a caso il titolo originale di Grace è «Blazh», in italiano «capriccio» – la cui unica risoluzione è l’inesorabile fato a cui sono stati deputati. Come le donne che fallacemente cercano di curare la tristezza del padre, come gli edifici in rovina pedinati dal van rosso bruno, come la pestilenza di pesci nel Mar di Bartens e la resa all’ineluttabilità della morte nel confronto finale tra madre e figlia.

Antonio Congias

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