Mamoru Hosoda, regista di successo nell’odierno panorama del cinema di animazione giapponese, con il suo ultimo lavoro intitolato Mirai ci porta alla scoperta di una vicenda quotidiana e familiare: un film che ruota attorno alle vicende di un bambino alle prese con la nuova sorellina, il cui nome dà titolo e significato al film.
La vicenda, dal soggetto semplice, vede coinvolto un bambino di quattro anni di nome Kun, la cui giornaliera quiete viene stravolta dalla nascita della sorella, la quale assorbirà tutta l’attenzione e le premure dei genitori scatenando in lui un forte sentimento di gelosia. La storia punta sull’aspetto realistico dei dialoghi e dell’animazione dei personaggi, avvalendo di espedienti visivi e narrativi davvero fantasiosi, a metà strada tra la rappresentazione onirica del protagonista, in balia dei sentimenti di rifiuto verso i membri della famiglia, ed una saldamente reale. Hosoda ha abituato i suoi spettatori a quest’alternanza fra reale e irreale, non tracciando mai una linea di demarcazione perfettamente nitida. Come nei suoi lavori precedenti, queste dimensioni spazio-temporali diversi dalla nostra realtà, si manifestano, inizialmente, solo al protagonista, per poi insidiarsi sempre più in ciò che consideriamo il nostro mondo, il nostro tempo. In Mirai, le scene che coinvolgono passato, presente e futuro, s’intrecciano in un delicato sistema narrativo che ha maggiori pregi nelle intenzioni piuttosto che nella sua realizzazione. Il piccolo protagonista, nei momenti di peggior sconforto, correndo nel giardino di casa, viene coinvolto in realtà diverse dove incontrerà: la versione umanizzata del suo cane, la Mirai del futuro, sua madre in età infantile e il suo bisnonno; ognuno di questi incontri servirà a placare i capricci di Kun e a farlo crescere, anche nella consapevolezza di ciò che stava accadendo a lui e ai suoi genitori. Questi viaggi spazio-temporali, conditi con realizzazioni visive fantasiose, danno respiro a un film che altrimenti rimarrebbe bloccato e soffocato fra mura domestiche e un numero estremamente ristretto di personaggi.
I mondi che il bambino disegna nella sua mente turbata e offesa, trovano il proprio climax visivo nella fase finale del film, in cui i carichi di amarezza e di disamore nei confronti della madre, raggiungono picchi elevati, proiettandolo in un mondo infernale e terribile dove un treno diabolico vuole condurlo in una solitudine perpetua. Questo episodio potrebbe essere ispirato a quello di un altro film d’animazione, che vede coinvolto un bambino alle prese con le difficoltà del crescere sulla retta via, ovvero il Pinocchio della Walt Disney del 1940. Il treno potrebbe richiamare la carrozza e il personaggio di Postiglione quella voce infernale che invita Kun a salire a bordo, per il suo ultimo viaggio nel cammino della perdizione. Parallelismi a parte, sicuramente le due scene hanno un effetto orrorifico, da punizione finale, da cui il protagonista riesce a sottrarsi grazie all’intervento di un altro personaggio: nel caso di Pinocchio è la sua coscienza, il Grillo Parlante, mentre per Kun-chan sarà proprio la presenza di Mirai a essere determinante. Mirai che è, sì, il nome della sorella minore di Kun, ma porta con sé anche il significato di “futuro” e, data l’importanza che si è voluta dare a questo termine, tanto da adoperarlo come nome proprio, bisogna riflettere su come i concetti che porta con sé siano fondamentali per la soluzione finale. Per la prima volta, Hosoda, dà a un suo film il nome di un personaggio, avvalendosi delle sue molteplici funzioni: da sostantivo, da aggettivo ma, in questo specifico caso, anche da nome proprio. Il futuro lo troviamo già nei due personaggi chiave del film: Kun-chan e Mirai; ma è anche concretamente il luogo da cui Mirai potrà salvare il fratello e viceversa. Infine, il concetto temporale che questa parola porta con sé è, come si è già spiegato, uno degli espedienti narrativi più importanti all’interno del film.
Hosoda costruisce un film per famiglie, le quali possono comodamente rispecchiarsi in uno dei personaggi del nucleo familiare, nonché riconoscere in Kun espressioni, movimenti e parole che hanno visto e vissuto con i propri figli. Ciò che il regista esalta maggiormente, infatti, è proprio il personaggio principale, sul quale si riversa un vero compendio di azioni e reazioni impresse in un’animazione realistica e curata, piena di sfumature espressive che rendono sorprendente e piacevole la visione. D’altronde, sin da La ragazza che saltava nel tempo (2006), Hosoda ha rivelato questo suo peculiare talento, conquistando anche il premio come miglior film d’animazione ai Japan Academy Awards.
Nonostante questi pregi ed alcuni momenti di grande coinvolgimento, Mirai resta un film ben confezionato ma che non sa andare oltre, e non stupisce come i suoi predecessori. L’idea di base, già esplorata sia in ambito live-action che in animazione (basti pensare al film della DreamWorks Baby-Boss, diretto da Tom McGrath ed uscito nel 2017), viene elaborata secondo canoni narrativi cari ad Hosoda, ma resta troppo prevedibile e scontanta in alcune risoluzioni.
Resta apprezzabile il filo conduttore che lega Mirai ai film che l’hanno preceduto; a rivelarlo è proprio lo stesso regista in un’intervista a “Variety”: «C’è un filo conduttore nei temi dei miei film: La ragazza che saltava nel tempo parlava della gioventù, Summer Wars parlava della famiglia, Wolf Children […] della maternità, The Boy and The Beast si basava sulla figura paterna, e il mio nuovo film si basa sulla relazione tra fratello e sorella. Mirai parla di un bambino che cerca di reclamare l’amore dei suoi genitori.»
I legami familiari, i mondi fantasiosi, il tempo, sono tutti temi che aiutano a comprendere e riflettere sui suoi film e Mirai, in questo, non fa eccezione. La famiglia è ciò che supporterà i momenti di rabbia del protagonista, rispondendo alle sue richieste di attenzione e facendolo reintegrare nel nucleo familiare; i mondi fantasiosi sono il collante fra turbamenti e amore. Il passato e il futuro appaiono come strade percorribili da ciò che c’è stato, c’è e ci sarà ancora: la natura. Nel caso specifico, un albero solitario nel giardino della casa. Immutabile e longevo, l’albero coglie tutte quelle vicende che, dai bisnonni in poi, si sarebbero svolte sotto la sua mite ombra e nei momenti di bisogno riesce a trasportare il bambino indietro e avanti nel tempo, svolgendo, in un certo senso, un’azione di protezione. Da qui, si potrebbe anche pensare a un piccolo messaggio ambientalista inserito dal regista: l’albero in questione, in rappresentanza della natura tutta, è quello che protegge e, come suggerisce il titolo, garantisce un futuro a noi esseri umani.