Santiago Loza, regista sperimentale, esplora il mondo del fantastico con il film Breve historia del planeta verde e lo fa riuscendo a cucire attorno all’esile figura di un piccolo alieno blu dai grandi occhi, l’intima storia di tre giovani protagonisti di un viaggio che li condurrà all’esplorazione dei loro micromondi, per poi ragionare su ciò che sarebbe stato di loro.
Fra i tre ragazzi troviamo Pedro, che ama rifugiarsi nei balli sfrenati del locale queer che frequenta, unico posto in cui si sente protetto; Daniela, che sta affrontando i postumi di una relazione finita male e Tania, una trans che si esibisce nelle discoteche ma che mal sopporta le occhiate e i commenti altrui su di lei. Tutti e tre vivono una condizione di isolamento, testimoniata nell’apertura del film che mostra il risveglio dei tre ragazzi e lega le loro vite con una musica continua, ripetitiva e malinconica, in cui non regnano parole ma solo quei gesti soliti e ripetitivi di giornate in cui continueranno a sentirsi degli alieni.
Proprio un alieno in carne e ossa sarà il nodo narrativo e interpretativo dell’intero film. Nell’eredità della nonna di Tania, infatti, spunta anche questo piccola creatura blu, ormai ridotta in uno stato di semi-coscienza. Questa creatura aveva fatto la felicità degli ultimi giorni di vita della signora e adesso, seguendo le sue ultime volontà, dovrà essere ricondotta nel luogo in cui venne trovata. Legati da questa missione fantasiosa, i tre affronteranno un viaggio fra foreste e luoghi più o meno civilizzati, in cui ritroveranno vecchi amici, nemici e nuovi personaggi, che li spingeranno a fare i conti col proprio passato e con ciò che avrebbero voluto diventare.
Il legame fra l’alieno blu e Tania è sicuramente il più più forte. Sin dalla prima inquadratura si può vedere, sulla sua maschera da notte, gli occhi del famoso alieno E.T.; ma è l’intero film che ruota attorno ai concetti che la parola alieno porta con sé: una condizione sociologica e psicologica che vessa costantemente tutte quelle persone che si sentono estranee al resto della società, o meglio, quelle persone che la società rende aliene, quindi diverse, quindi da circoscrivere nei circoli a loro dedicati (il locale dove ama ballare Pedro o quello dove lavora Tania) dove gli è consentito vivere ed esprimere se stessi senza sentirsi diversi, ma con la costante consapevolezza che, al di fuori di quegli spazi, la loro vita non gli riserverà null’altro che quel silenzio costante dei loro risvegli.
Santiago Loza realizza un film di genere fantastico, che sovverte però ogni aspettativa. Non solo i tre protagonisti non hanno alcun tipo di reazione prevedibile quando gli viene mostrata la teca dove riposa l’alieno blu, ma ogni altro personaggio incontrato nel loro percorso non sembra assolutamente turbato nel vederlo. Emblematica è la scena in cui un’amica ballerina di Tania, finisce per allattare quell’essere con la stessa cura e premura con cui allattava il proprio bambino.
L’extraterrestre, simbolo di tutti coloro che si sentono quotidianamente in minoranza, finisce per entrare in simbiosi con Tania. Più il viaggio li conduce vicini alla meta, più lei sente dolori non identificati finiscono per stremarla, fino a creare un legame totale con la creatura, decidendo di dover andar via con lei. Se Tania diventa il simbolo di coloro che non ce la fanno e sono costretti a gesti estremi pur di trovare un po’ di pace, Pedro e Daniela sembrano riuscire a resistere alla folla che con le torce accorre per scacciarli come fossero dei mostri e sembrano trovare nel conforto di una notte d’amore, l’appiglio per il loro futuro.
Breve historia del planeta verde, con i suoi spaccati di grande realismo e la sua grottesca e fantasiosa ironia, riesce a calare lo spettatore nell’intimo dei tre personaggi, inducendo a riflettere su ciò che si considera “normale” e ciò che è “anormale”; trovando, nella fermezza e dolcezza di alcune scene, l’intima chiave di lettura che spinge a trovare la risposta in ognuno di noi.