“Tangerine” di Sean Baker

Siamo a Los Angeles, è la vigilia di Natale. Sin-Dee Rella, una ragazza transessuale, scopre dalla sua amica Alexandra che il suo ragazzo l’ha tradita mentre era in prigione. E, cosa ancor peggiore, l’ha fatto con una donna. Decide così di scoprire l’identità della ragazza. In giro per i quartieri depravati della città degli angeli, Sin-Dee inizia la sua caccia, accompagnata per breve tempo dall’amica.

Nel frattempo, nello stesso quartiere della stessa città, un tassista armeno fa il suo lavoro e, fra ragazzi ubriachi, anziani soli e ragazzine intente a scattarsi selfie, ha bisogno di una pausa. Ed è così che veniamo a scoprire che i destini delle due amiche sono incrociati a quello del tassista, uomo infelicemente sposato che per fuggire dalla sua routine familiare frequenta gli ambienti della prostituzione transessuale. A rendere più intricata la situazione è la suocera dell’uomo che, sospettosa, va alla ricerca del genero per scoprire i suoi sporchi segreti.

Girato in 18 giorni con un Iphone 5s, il film ha una resa visiva quasi perfetta. La sensazione è quella di seguire i personaggi, di spiarli, una volta come passeggeri del taxi, un’altra volta come consumatori in un bar, un’altra volta ancora alla fermata del pullman. Le azioni dei personaggi sono accompagnate da una colonna sonora in cui la musica dubstep li segue a ritmo incalzante.

Tangerine di Sean Baker è un ritratto della comunità transessuale di Los Angeles, di cui il regista ha voluto evidenziare i problemi amorosi toccando in modo sottile le tematiche dell’accettazione e della discriminazione. Al contempo è anche il ritratto di una famiglia, che sotto le sue false apparenze, cela debolezze e passioni che portano il capofamiglia a tradire, e la moglie a fingere di non sapere per non far crollare l’immagine perbene.

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