Tavola rotonda “Cose che verranno”

Torino, 26 novembre 2015 – Si è tenuta oggi al Campus Luigi Einaudi una tavola rotonda intitolata “Cose che verranno” e dedicata al cinema di fantascienza. Relatori sono stati Emanuela Martini, Riccardo Fassone, Andrea Fornasiero, Emiliano Morreale, F

Gli onori di casa sono stati affidati alla direttrice del Torino Film Festival Emanuela Martini, la quale ha illustrato i diversi temi del dibattito e spiegato le motivazioni con cui sono stati scelti i film inseriti nella retrospettiva del cinema di fantascienza in corso al Festival, intitolata “Cose che verranno”.

Questa retrospettiva è molto vasta e comprende film diversi tra loro che non sviluppano un tema unico, ma propongono riflessioni autoriali a 360 gradi: si passa dalle paure sul futuro proposte dalla letteratura di genere, alle incursioni nel mondo dei fumetti, fino alla serialità postmoderna offerta delle serie tv.

E proprio sul tema della paura si apre la sessione di lavori. La direttrice ricorda che alla fine degli anni ’40 esplose la paura della bomba atomica. Questo ha condizionato le previsioni sul futuro della terra, fino all’intreccio tra umano e non umano, alle creature artificiali. Se volessimo individuare un filo conduttore nei film della rassegna potremmo individuarlo nell’utopia in dialogo con la distopia, un confronto a tratti amaro che alla fine dimostra che di utopie ne sono rimaste poche e prevalgono le distopie. Un tratto comune di questi film è quindi l’idea che “la terra non ha futuro”. Una visione pessimistica del futuro impregna già un’opera come Blade Runner.

Carlo Pagetti, docente di Letteratura inglese presso l’Università degli Studi di Milano propone alcune riflessioni sul film Il pianeta proibito di Fred M. Wilcox, esempio della mancanza di utopie. Occorre dire che dietro questo film c’è il dramma di William Shakespeare La tempesta. E proprio Shakespeare, insiste Pagetti, già all’inizio del ‘600 ci mostra quali illusioni e pericoli si annidassero in una visione utopica dell’esistenza.

Pagetti cita anche Orson Welles, regista a cui è dedicato il Torino Film Festival di quest’anno, come autore attivo anche nel genere fantascientifico, non nel cinema bensì alla radio. Tutti ricordano, infatti, il suo annuncio, durante una trasmissione radiofonica, dell’arrivo dei Marziani nel New Jersey. Welles “mise in scena” quanto avviene nel romanzo La guerra dei mondi Herbert George Wells. La fantascienza, continua Pagetti, è un genere molto duttile, passa da un medium ad un altro in modo estremamente fluido. Tra fantascienza e cinema ci sono commistioni molto efficaci e lo stesso cinema nasce come affermazione di tecnologia visionaria.

La letteratura ha avuto un ruolo fondamentale nel genere cinematografico di fantascienza. Il primo articolo della prima rivista di fantascienza “Amazing Stories” è a firma di tre illustri nomi della letteratura: Poe, Verne e Wells. Dopo Metropolis di Fritz Lang, negli anni ’30, il film più significativo del genere è stato Things to Come di William Cameron Menzies, a cui Wells aveva collaborato in modo diretto. La fantascienza letteraria ha dato spunti che poi il cinema, in qualche modo, ha amplificato e visionariamente ottimizzato. Ci vuole il cinema per creare con efficacia visiva il mondo dell’incubo o l’annientamento ecologico.

Il Novecento è l’epoca della distopia perché non può esistere utopia nel nostro mondo. La Storia ha consumato completamente il discorso utopico, ma non ha distrutto l’immaginario del cinema, che ha voluto assumersi la grande responsabilità far sognare le persone. Certamente nel cinema c’è una dimensione ammonitoria della distopia, una visione del futuro piena di inquietudine, ma sussiste l’elemento ludico proprio del cinema.

Il cinema odierno recupera la tematica della conquista dello spazio. Casi come Interstellar di Cristopher Nolan sembrano ottimi esempi di una volontà di rilancio del tema dell’uomo in rapporto al cosmo: in un certo senso in questo film il sogno del volo dello spazio ci fa ritornare in una dimensione utopica.

Tocca a Riccardo Fassone, docente del DAMS di Torino, esperto di videogiochi, offrire il proprio contributo. Secondo lui il videogioco costituisce un’esperienza che ha molto a che fare con la fantascienza. Esso prevede l’interazione tra noi e un’intelligenza artificiale (nostra antagonista), elettronica, quasi robotica. Questa interazione è spesso alla base di numerosi film di fantascienza. Cosa divide l’umano dal non umano? Quale comunicazione e quali interazioni sono possibili? Fassone cita l’esemplarità del romanzo Luce virtuale di William Gibson, in soltanto inforcando un paio di occhiali speciali si può vedere come sono in realtà le cose. Philip K. Dick affermava che gli scrittori di fantascienza non fanno fantascienza, ma sono in realtà storici di un mondo che non esiste.

Federico Pedroni cita il romanzo Frankenstein di Mary Shelley, in cui si vede l’archetipo del rapporto tra l’uomo e le macchine: lo scienziato che si fa dio e dà vita ad esseri artificiali utilizzando cadaveri. Tutti i film basati sulla figura di Frankenstein sono capisaldi del fanta-horror, un sottogenere della fantascienza. In letteratura, e di conseguenza nel cinema, il tema dell’automa contrapposto all’uomo caratterizza la ricerca, il progresso. In Metropolis di Lang l’essere umano è sostituito da un robot in un modo così perfetto che nessuno se ne accorge. Asimov viene ricordato come l’autore più ottimista della letteratura di fantascienza, soprattutto nello stabilire che il robot non può mai nuocere all’uomo, ma deve anzi obbedirgli.

Quando parliamo di rapporto tra umani e non umani, pensiamo al computer, l’intelligenza più fredda in assoluto; Pedroni cita i casi di Alphaville di Godard e 2001 Odissea nello spazio di Kubrick. Nel film Generazione Proteus di Donald Cammell è esemplare il momento in cui un PC sviluppa un’autonomia tale che lo porta ad avere persino un desiderio di paternità. Oggigiorno il computer ha perso quel valore assoluto di antagonista pericoloso e misterioso dell’uomo che aveva fino a qualche anno fa, in quanto è diventato uno strumento di uso quotidiano. Uno dei migliori film di fantascienza degli ultimi, secondo Pedroni, è Ex Machina di Alex Garland, che mostra proprio una relazione sorprendente tra creatura e creatore, e in un certo senso fa vedere quanto l’umano sia in via d’estinzione, mentre le macchine si stanno perfezionando e acquisiscono potenzialità enormi. In Crash di David Cronenberg emerge una relazione sensuale tra l’omo e l’automobile.

Emiliano Morreale, Conservatore della Cineteca Nazionale e docente presso il DAMS di Torino, ha affrontato il rapporto tra fumetto e fantascienza. Il fumetto di fantascienza è nato negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, ma si è notevolmente sviluppato anche in Europa, basti pensare all’opera di Jean Giraud. Senza i fumetti di Giraud, meglio conosciuto con lo pseudonimo “Moebius”, molto probabilmente non sarebbero esistiti i film di Scott, di Cameron e anche i vari episodi del film seriale Mad Max. Qualsiasi regista del cinema di fantascienza inevitabilmente incontrerà il mondo del fumetto, prima o poi. E il fumetto costituisce pure una sorta di ponte tra cinema e narrativa. Secondo Morreale il cinema di fantascienza offre costanti ipotesi e scenari della fine del mondo perché al pubblico piace vedere catastrofi. André Bazin parlava di “complesso di Nerone”: Roma brucia mentre Nerone suona la cetra e gioisce.

Andrea Fornasiero, esperto di serialità e programmatore del Roma Fiction Fest, nota quanto sia frequente la distopia in televisione, e cita innanzitutto le serie televisive Star Treck e Blake’s 7. Altri esempi di prodotti televisivi distopici sono Il mondo sul filo, film per la tv di Rainer Werner Fassbinder, Paura sul mondo, prodotto seriale della Rai, Black Mirror e Person of Interest. Nel mondo televisivo americano sono le produzioni delle tv via cavo le più interessanti e mature. E l’ampiezza di respiro nella costruzione dei mondi è elemento cardine del mondo distopico.

In conclusione, Emanuela Martini aggiunge una propria riflessione su come la realtà compenetri la fantascienza, anche perché tutti gli scrittori di fantascienza partono da dati reali.

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