“ZGODOVINA LJUBEZNI/HISTORY OF LOVE” DI SONJA PROSENC

Nella staticità e nel silenzio irrompe sullo schermo un brusco e improvviso fragore: si tratta del corpo della protagonista, Iva, che si immerge, tuffandovisi, in un corso d’acqua. È questo uno dei frammenti iniziali di History of Love, pochi secondi in cui sono anticipati elementi significativi e ricorrenti all’interno del film.
Si tratta dell’opera seconda di Sonja Prosenc, regista slovena che ha attirato su di sé l’attenzione della critica tramite il precedente The Tree.


La protagonista di questa “storia d’amore” è Iva, diciassettenne alle prese con l’elaborazione del lutto della madre deceduta in un incidente d’auto, e con l’avvicinamento ad Erik, direttore d’orchestra ed amante della donna.

È un’immersione dell’adolescente nel proprio dolore, un’apnea in cui l’elemento acquatico, simbolo di purificazione e mutamento, si fa onnipresente nelle sue varie sfumature e declinazioni. Vi è in primis la necessità di rielaborazione del proprio passato e del proprio sentire, un’indagine solitaria e irruenta che porta la giovane a introdursi come una ladra all’interno dell’appartamento di Erik e a appropriarsi degli oggetti della madre. Emblematico, a tal proposito, il momento in cui la giovane, affetta da sordità, decide di liberarsi del proprio apparecchio acustico ormai danneggiato, nella finale accettazione del proprio sentire individuale.

Prosenc rappresenta questo percorso di resilienza tramite una messa in scena dilatata, dove la temporalità è scandita dal respiro interiore di Iva, dalla sua percezione intima, in cui a predominare è l’elemento acustico. L’udito diviene infatti il senso principale e il suono è modellato come una partitura musicale, in cui si passa fluidamente dai rumori della natura circostante ai pregnanti Leitmotiv orchestrali, spingendosi fino alla musica elettronica della sequenza nella discoteca, in cui la ragazza ed il fratello riescono a comunicare sussurrando.
Al percorso interiore di Iva corrisponde un mutamento spaziale, che ci conduce dalla grande abitazione familiare (nel cui salotto il pianoforte della madre domina, come uno spettro) allo spazio incontaminato delle rive di un fiume, in cui l’elaborazione del trauma passa dalla ritenzione psicologica alla manifestazione fisica e carnale.

È grazie a questa necessaria tappa che la costruzione visiva, tramite l’intensità della fotografia, può in ultimo declinarsi verso una nitidezza e un ordine quasi geometrici, e il corpo di Iva sulla piattaforma può finalmente stagliarsi limpido rispetto allo sfondo, aprendosi in una sorta di inchino, prima del tuffo finale.

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