“BAD LUCK BANGING OR LOONY PORN”DI RADU JUDE, ORSO D’ORO ALLA 71^ BERLINALE

First reaction? Shock.

Che siate cinefili accaniti, professionisti del settore o spettatori curiosi (e benché viviate nel 21esimo secolo), resterete increduli di fronte a questo film a partire dal suo incipit. Per quanto il mondo contemporaneo ci abbia abituato a ogni tipo di contenuto video, a fare la differenza è sempre il veicolo con cui quell’immagine ci arriva. Paradossalmente nel cinema è stato ripristinato uno sguardo cauto e morigerato allo scopo di ottimizzare le vendite. Bad Luck Banging or Loony Porn si prende gioco apertamente della pulizia del cinema popolare (il suo sottotitolo è proprio questo) e mescola la brutalità dell’home movie e del documentario con una rappresentazione finzionale che lavora sull’esasperazione dei meccanismi del linguaggio filmico.

Uno dei meccanismi più provati è quello del montaggio delle attrazioni, in un “Breve dizionario di aneddoti, cartelli e meraviglie” in cui Jude non risparmia niente e nessuno, esibendo con chiarezza e arguzia i limiti del pensiero contemporaneo. Il regista riporta il paragone del cinema come lo scudo lucido di Atena usato da Perseo per avvicinare Medusa e tagliarle la testa, attestando che cinema ci permette di guardare agli orrori del mondo senza esserne realmente colpiti, sopraffatti e pietrificati.

È davvero così? In una libera associazione di pensieri e immagini Jude riflette sulla violenza contro le minoranze, il potere militare, la connivenza della chiesa, l’alienazione delle generazioni più giovani (“I bambini prigionieri politici dei loro genitori”), la persistenza di governi criminali. E non mancano le frecciate verso il comportamento infantile che stiamo adottando nei confronti del cambiamento climatico e l’assurdo contrasto tra l’individualismo diffuso e l’abbondanza di social e sistemi di comunicazione, fino ad arrivare a Neuralink. Disarticolando volutamente il discorso filmico, ci dà la possibilità di riempirlo col nostro pensiero. Il tutto all’interno di un film narrativamente classico, in cui vengono usati gli strumenti della suspense, la costruzione del dramma di tipo giudiziario e i dialoghi costruiti ad arte per analizzare l’argomento da cui il film prende le mosse, il revenge porn come finestra sulla fragilità del ruolo sociale delle donne.

In definitiva, a descriverlo sembra un minestrone, a vederlo sembra la vita. A maggior ragione essendo stato girato subito dopo il lockdown. Ancora ci chiediamo come il cinema assimilerà questo trauma, ma ecco una prima risposta: la pandemia come contesto normale, l’accettazione della distanza sociale come prassi e con un nuovo ecosistema di timorosi, guardie e menefreghisti supponenti. Anche la presenza delle mascherine della più svariate fogge, contrapposte a quella scherzosa indossata sugli occhi dalla protagonista, ci raccontano dell’assunto fondamentale su cui il film si basa, e cioè essere consapevoli di vivere in una realtà regolata da paradigmi, non da verità assolute. E il paradigma che guida le nostre vite adesso, in Romania quanto in Italia e in altre parti del mondo, mostra risvolti spaventose. Abbiamo ridotto il nostro linguaggio a citazioni e meme, a costrutti attraverso i quali possiamo capirci tutti al volo, senza spiegarci mai davvero. Radu Jude svela in modo ironico questo meccanismo di pregiudizi e frasi fatte, ponendoci di fronte al fatto che stiamo parlando senza sapere quel che stiamo dicendo. Questo è imbarazzante, è loony (=pazzoide, matto, svitato, stupido). 

Arianna Vietina

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